Gustavo Zagrebelsky, Mario Brunello – Interpretare. Dialogo tra un musicista e un giurista

Interpretare

Quanto spazio concedono alla libertà dell’interprete un testo sacro come una sonata di Beethoven o un articolo della Costituzione? Nella musica così come nel diritto, di fronte a una legge o a una suite di Bach, l’interprete si muove sempre in una delicata zona di confine che si situa tra l’eseguire e il creare. Dall’anelito alla perfezione alla deriva dei virtuosismi, dal gusto dell’improvvisazione alla necessità dell’innovazione, il compito più alto, e arduo, dell’interprete è quello di farsi tramite fra passato e futuro.

Gustavo Zagrebelsky – La legge e la sua giustizia

La legge e la sua giustizia

Filo conduttore di questo volume è l’idea di una doppia anima del diritto: il giudizio giuridico incorpora sempre valutazioni di giustizia materiale e dunque non si esaurisce nell’applicazione di formule legislative. L’esperienza dell’autore suggerisce che quelle valutazioni non sono pre-giudizi da evitare o influenze abusive da cui il buon giurista debba proteggersi, ma sono componenti essenziali di ciò che si deve intendere per diritto. Come tali esse devono essere coltivate apertamente, con la consapevolezza che, per questa via, viene restaurandosi l’autentica struttura dualista del diritto, una struttura che le riduzioni positiviste – la riduzione del diritto a legge e la riduzione della legge a strumento di potere – hanno per molto tempo oscurato. Un dualismo che si riflette per eccellenza nell’uso giudiziario della Costituzione. Qui, la componente di giustizia materiale del diritto si manifesta con evidenza. Ne viene illuminata una figura di giudice e di giurista assai lontana da quella del puro tecnico delle leggi: la figura nuova, anzi antichissima, di un soggetto responsabile nei confronti della cultura del suo tempo.

Gustavo Zagrebelsky – Liberi servi: Il Grande Inquisitore e l’enigma del potere

Liberi servi

Dostoevskij tornò da un viaggio a Londra profondamente turbato: invece di cogliervi il brivido luminoso del progresso – erano i giorni della prima Esposizione universale – aveva scoperto che in quella città regnava l’irrimediabile solitudine e la rassegnata disperazione di un’umanità sottomessa. Aveva sperimentato il trauma immedicabile della profezia: affacciatosi sul futuro, aveva passeggiato nel cantiere del mondo d’oggi per ritrarsene spaventato. Questa illuminazione mediante le tenebre avrebbe trovato felice compimento nel capitolo dei Fratelli Karamazov dedicato al Grande Inquisitore. In esso Dostoevskij affronta temi cruciali che riguardano la filosofia morale, la politica, la filosofia della storia e della religione: pagine taglienti di grande letteratura, in grado di scavare nell’animo umano senza schermi o mediazioni. Con lucida passione, questo libro coglie ogni aspetto del celebre testo, inquadrandolo dapprima all’interno dell’opera e della poetica dello scrittore russo, per metterlo poi in relazione con il pensiero politico della modernità, approfondendo infine le tante riflessioni che da esso scaturiscono. All’autore interessano soprattutto gli aspetti legati alla teoria del potere; e nel monologare dell’Inquisitore di fronte al Cristo silenzioso – fino all’enigmatico bacio finale – ritrova numerosi e sbalorditivi agganci con il nostro tempo presente, che per molti aspetti sembra dare compimento al cinico nichilismo dell’Inquisitore: su tutti, la tendenza degli uomini ad accettare di vedersi sottrarre la vera libertà scambiandola per quella misera e obbediente di un apatico conformismo. *** «Nel punto in cui, con l’annuncio di propositi suicidi, culmina il disgusto di Ivàn Karamazov per il male assurdo e ingiustificato del mondo, illustrato con brevi e sconvolgenti quadri della malvagità umana tratti non dalla fantasia ma dall’osservazione, Dostoevskij introduce l’atto d’accusa contro il Cristo, responsabile di tanta afflizione.