Jurij Olesa – Invidia e I tre grassoni

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Nell’inesauribile giacimento della letteratura sovietica degli anni venti un romanzo offusca forse ogni altro: Invidia di Jurij Oleša. Enigmatica e limpida, la grottesca storia del «salsicciaio» Babičev e del lunatico Kavalerov non cessa di affascinare e inquietare il lettore, offrendogli, con l’aerea architettura delle sue fantasie, il senso acuto delle tensioni che attraversano e plasmano un mondo. La costruzione di una grande mensa razionale, il Četvertak, opera cui il bolscevico Andrej Babičev consacra ogni sua energia, si fa il presagio di una futura società asettica e funzionale, perfetta nella sua universale attuazione di un utopico ideale di giustizia e felicità. Contro questa futura patria dell’uomo e contro i prototipi presenti dei suoi abitatori insorgono, con astiosa e impotente sedizione, il fratello di Babičev, inventore di Ofelia, un’anti-macchina sentimentale e dissennata, e Kavalerov, poeta fallito. Il conflitto, che potrebbe parere convenzionale, si complica in un gioco infinito di ironie, in un ambiguo scambio di ruoli, in una doppia ottica di scrittura che fanno di Invidia un romanzo assolutamente singolare. La posizione etica dell’autore — chiave di volta della struttura narrativa — è quella di un’organica autodenigrazione, dettata da una sorta di «complesso d’inferiorità» di fronte alla realtà rivoluzionaria. Invidia porta in sé le ragioni che ne fanno l’unico grande romanzo di Oleša, un romanzo che gli garantisce un posto di prim’ordine nella letteratura russa novecentesca. I tre grassoni, scritti poco prima di Invidia e pubblicati dopo di essa, sono una deliziosa fiaba per tutti, la storia di una favolosa lotta di classe e di una non meno favolosa rivoluzione. Lungo fili sottili, che nel suo saggio Vittorio Strada ricostruisce, i due romanzi si legano tra loro cor rimandi e sviluppi problematici e, insieme, formano il compiuto universo immaginario di Jurij Oleša.