Nicola Perugini, Neve Gordon – Il diritto umano di dominare

Che cosa sono, oggi, i diritti umani? Uno strumento di giustizia, garanzia del diritto e moderazione della violenza elaborato dalle democrazie liberali per tutelare i soggetti piú vulnerabili? In realtà, se guardiamo alla fisionomia di chi se ne occupa, accanto a istituzioni internazionali, corti di giustizia e ONG, troviamo anche agenzie di sicurezza nazionale, organismi militari e organizzazioni portatrici di interessi specifici e omogenei alle strutture di potere. Attraverso l’analisi di casi concreti che vanno dalla tutela dei diritti dei coloni israeliani alla guerra legalizzata con i droni, dagli omicidi mirati agli scudi umani, gli autori mostrano come le categorie di abuso, colpevole e vittima si scambino continuamente di posto, a seconda degli obiettivi di chi si appropria del discorso dei diritti umani: che possono essere anche una preziosa risorsa di legittimazione per rafforzare la dominazione, sancire gli squilibri consolidati e giustificare guerre e occupazioni – non uno strumento universale e neutrale di emancipazione. In questo saggio, emergono senza appello tutte le contraddizioni dell’ordine “morale” globale, insieme all’invito a ripensare l’odierno impoverimento dei diritti umani, rivitalizzandone la funzione antiegemonica, la reale rappresentatività e la forza di resistenza.

Ugo Mattei, Laura Nader – Il saccheggio. Regime di legalità e trasformazioni globali

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Questo libro affronta i temi del colonialismo e dell’imperialismo contemporanei introducendo un punto di vista abitualmente trascurato, quello del diritto. E si propone di sottrarre al pensiero unico sulla globalizzazione, diffusosi dopo la caduta del muro di Berlino, una delle sue armi più poderose: l’ideologia del regime di legalità, o rule of law. Il mito della legalità, frutto dell’autocelebrazione occidentale, è ben radicato non solo in America, ma anche in Europa e in Italia, dove l’apologia della dominazione americana fonda tanto il comune sentire politico e mediatico quanto ogni progetto di riforma giuridico-politica. Pubblicata in inglese nel 2008 (e ora in uscita in diverse lingue), questa analisi ha aperto il dibattito critico su una nozione, quella del regime di legalità, che, fino ad allora, era nata al di sopra di ogni sospetto.

George Chamayou – Teoria del drone. Principi filosofici del diritto di uccidere

Teoria del drone. Principi filosofici del militarismo democratico

“Cazzo, che bel bersaglio! Provo a passare da dietro e li faccio fuori”. Non è un cecchino a parlare dal tetto di un edificio, ma qualcuno di comodamente seduto alla base militare di Creech, in Nevada. Sta pilotando un drone che si appresta a lanciare un missile Hellfire su un gruppo di persone sospette in Afghanistan. Con i droni, tra il grilletto sul quale si poggia il dito e la canna da cui uscirà il proiettile ci sono migliaia di chilometri. Una distanza che rimette in discussione l’idea stessa di conflitto militare: che cos’è infatti un combattente che non combatte? Si può ancora parlare di guerra quando il rischio non è simmetrico? Quando interi gruppi umani sono ridotti allo stato di potenziale bersaglio? Nella guerra a distanza, poco importa che siano delle macchine a uccidere esseri umani, l’importante è che lo facciano in modo umano. Eppure dietro questa meraviglia della tecnologia militare non poche sono le questioni etiche, psicologiche e giuridiche che vi si celano. Attraverso il paradigma del drone, Grégoire Chamayou, ricercatore del CNRS francese e affermato esponente del pensiero critico d’oltralpe, coglie l’occasione per portare avanti un’analisi esaustiva delle trasformazioni della sovranità e delle sue forme di punitività.

Danilo Zolo – La giustizia dei vincitori. Da Norimberga a Baghdad

La giustizia dei vincitori

Norimberga e Tokyo sono state le sedi dei Tribunali penali internazionali istituiti per processare i nemici sconfitti della seconda guerra mondiale. Dopo la pausa della guerra fredda, l’esperienza della ‘giustizia dei vincitori’ si ripete a carico dei vertici politici e militari della Repubblica Federale Jugoslava, con in testa l’ex presidente Milosevic, e oggi, in Iraq, investe gli esponenti politici e militari del partito Ba’ath e il presidente della Repubblica, Saddam Hussein. Nulla però è accaduto ai criminali responsabili delle stragi atomiche di Hiroshima e di Nagasaki o dei bombardamenti delle città tedesche e giapponesi, nulla è accaduto alle autorità politiche e militari della Nato, responsabili della guerra di aggressione contro la Repubblica Jugoslava. E si può essere certi che mai verranno puniti i responsabili della strage di decine di migliaia di civili innocenti compiuta in Iraq dalle armate angloamericane. Del tutto impunite resteranno la strage di civili nella città irachena di Fallujah, così come le torture di Abu Ghraib. E altrettanto si può prevedere per i crimini commessi dalle milizie israeliane nel corso dell’occupazione militare della Palestina, per non parlare dell’etnocidio in corso in Cecenia. Occorre allora interrogarsi sul fallimento sia delle istituzioni universalistiche sorte nella prima metà del secolo scorso, sia della giurisdizione penale internazionale, incapaci non solo di garantire al mondo una pace stabile e universale -utopia irrealistica -, ma anche di condizionare l’inclinazione delle grandi potenze a usare la forza di cui dispongono. In primis gli Stati Uniti, orientati a svolgere il ruolo di potenza imperiale al di sopra del diritto internazionale. È sconfortante dover ripetere ancora una volta, amaramente, assieme a Radhabinod Pal, il coraggioso giudice indiano del Tribunale di Tokyo, che -solo la guerra persa è un crimine internazionale”.

Sergio Romano – Il declino dell’impero americano

Il declino dell'impero americano

Nel 2003, con Il rischio americano, Sergio Romano affermava, nella nuova fase politica internazionale iniziata dopo gli attentati dell’11 settembre, che gli Stati Uniti, unica superpotenza mondiale, avevano agito con arroganza anche perché l’Europa era stata assente o insignificante. Poco più di dieci anni dopo, in un contesto di continua fibrillazione acuita dalla perdurante crisi economica apertasi nel 2007/2008, la domanda di fondo è sempre la stessa: cosa vuol fare l’Europa da grande? Se il declino degli Stati Uniti come impero mondiale sembra evidente, non altrettanto chiaro è il modo in cui gli americani sapranno attraversare questa fase della loro storia. La condizione imperiale è una droga da cui non è facile disintossicarsi. La parabola del declino americano sarà tanto meno rischiosa quanto più sarà accompagnata dalle scelte ragionevoli di Cina, Russia, Brasile, Iran e di altri paesi. Ma la responsabilità maggiore è dell’Unione europea, che non può assecondare l’America in ciò che rimane della sua politica imperiale, e le sarà tanto più utile quanto più diverrà, in una realtà multipolare, una sorta di Svizzera continentale. Per gli americani che ancora credono nella vocazione imperiale del loro paese, un’Europa divisa è il migliore degli alleati possibili. E l’unità europea si farà soltanto a dispetto dell’America: per garantire un ruolo all’Europa in un mondo in cui lo spazio creato dal declino americano verrebbe riempito da potenze extraeuropee.

Domenico Losurdo – Il linguaggio dell’Impero. Lessico dell’ideologia americana

coverTerrorismo, fondamentalismo, antiamericanismo, odio contro l’Occidente, complicità con l’Islam e gli antisemiti: sono le accuse che l’impero americano brandisce come armi affilate. In un clima mondiale di mobilitazione totale contro i barbari alle porte, e anzi già insediati nella cittadella occidentale, chiunque non sia con l’America è automaticamente nemico della pace e della civiltà.