Amos Tutola – La mia vita nel bosco degli spiriti

La mia vita nel bosco degli spiriti

In Nigeria, all’inizio degli anni Cinquanta, il giovane Amos Tutuola spedì il suo primo manoscritto a un indirizzo che aveva trovato su un annuncio apparso in un giornale locale. Con ulteriore passaggio, il manoscritto arrivò all’editore Faber and Faber: per questa via improbabile l’immortale spirito della favola tornava a parlare. Dylan Thomas riconobbe subito quel tono, quella meraviglia – e salutò il primo libro di Tutuola con una recensione entusiastica sull’«Observer». Da allora la letteratura, che oggi ama chinarsi a riflettere sulla favola ma ben poche favole riesce a creare, è accompagnata dalla voce di un amabile, imprendibile trickster, che continua a raccontarci le sue avventure nelle innumerevoli Città degli Spiriti, contrassegnate ciascuna, con deliziosa ironia, da un numero romano. Ogni favola è il racconto mascherato di una iniziazione, e ogni iniziazione è un viaggio: qui sarà la lunga ricerca, fra terrori e stupori, dello spillatore di vino di palma, compagno perso nella Città dei Morti e alla fine ritrovato, come una promessa di felicità che ci fanno balenare l’inesauribile fluire del vino di palma o i prodigi di un uovo magico. E sarà anche la lunga fuga nel Bosco degli Spiriti di un bambino che non sa ancora «il significato di “male” e di “bene”» e subito deve sfuggire all’odio, che si manifesta nel rumore, per lui affascinante, dei fucili di guerra. Dal «gentiluomo completo» alla «madre-dagli-occhi-lampeggianti», dalla «Super lady» agli «spiriti-che-mangiano-i-ragni», dagli «Spiriti-puzzolenti» alle «Creature rosse», uno sciame di figure terrificanti, incantatorie e comiche ci viene qui incontro, e le loro voci si mescolano nella foresta come sulla piazza di un immane mercato.

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