Luce D’Eramo – Partiranno [LDB]

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Roma, metà degli anni ottanta. Un agente dei Servizi segreti italiani viene incaricato di indagare su alcuni sospetti ospitati da una zoologa, Paola Rodi. Trafuga quaderni di appunti e scopre che negli anni sessanta sono atterrati dal pianeta Nnoberavez tre alieni in apparenza simili ad animaletti, in realtà provenienti da una civiltà molto evoluta e diversissima. Da allora sono protetti da un piccolo gruppo di umani con cui hanno stretto intensi rapporti. Parte una caccia all’extraterrestre, che nel cuore della Guerra fredda coinvolge, oltre ai Servizi segreti italiani, la Cia e il Kgb – decisi ognuno a sfruttare la scoperta. Lo straniamento degli umani visti dagli alieni, e quello degli alieni visti dagli umani, genera ribaltamenti, struggenti intuizioni e situazioni tragicomiche, in un racconto temerario e avvincente. Scrive il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi nella sua introduzione: “Siamo su un piccolo pianeta, a risorse limitate, quasi come una gigantesca astronave che viaggia nello spazio. Dell’immenso cosmo che ci circonda non abbiamo che barlumi di conoscenza, ma sappiamo ormai che la vita sulla Terra è un sistema complesso, in cui l’uomo non è più un parametro assoluto, se non vuole rischiare l’estinzione lui stesso, o sopravvivere su un pianeta desertificato. Ma quest’evidenza stenta a diventare coscienza collettiva, convinzione profonda che determina le scelte quotidiane. Partiranno è il primo romanzo dell’era spaziale, impregnato della coscienza di cosa comporti il nostro accanirci a esistere, sospesi al margine di una galassia, tra migliaia di galassie che ruotano nel vuoto”.

 

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Nancy Fraser – Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunità e il pianeta [LDB]

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‘Capitalismo cannibale’ è l’espressione che usa Nancy Fraser per definire il sistema sociale che ci ha portato a questo punto. La metafora del cannibale è calzante per l’analisi della società capitalista caratterizzata da una frenesia alimentare istituzionalizzata in cui il piatto principale siamo noi. Ma Fraser precisa e amplia anche la parola ‘capitalismo’ che, a suo giudizio, designa un ordine sociale che consente a un’economia orientata al profitto di predare i supporti extra-economici di cui ha bisogno per funzionare: la ricchezza espropriata dalla natura e dai popoli assoggettati; le molteplici forme di lavoro di cura, cronicamente sottovalutate quando non del tutto disconosciute; i beni e i poteri pubblici che il capitale richiede e allo stesso tempo cerca di limitare; l’energia e la creatività delle persone che lavorano. Per questa ragione la parola capitalismo non si riferisce a un tipo di economia, ma a un tipo di società: quella che autorizza un’economia ufficialmente designata ad accumulare valore monetizzato per gli investitori e i proprietari, mentre divora la ricchezza non economizzata di tutti gli altri. Come l’uroboro che si mangia la coda, la società capitalista è pronta a divorare la sua stessa sostanza.

 

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Józef Czapski – La terra inumana [LDB]

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14 agosto 1941: a meno di due mesi dall’ag­gressione tedesca dell’Unione Sovietica, e solo due anni dopo la sottoscrizione del patto Molotov-­Ribbentrop – che in un «pro­tocollo segreto» aveva stabilito la sparti­zione della Polonia –, a fronte della mi­naccia nazista viene firmato l’accordo mi­litare fra Stalin e Sikorski per la costituzio­ne, sul territorio dell’URSS, di un’armata polacca composta da soldati in preceden­za fatti prigionieri dai sovietici e deportati. All’inizio di settembre Józef Czapski, che ha servito come ufficiale nell’esercito po­lacco ed è stato internato dapprima a Sta­robel’sk e poi a Grjazovec, viene dunque liberato insieme ai suoi compagni dopo «ventitré mesi dietro il filo spinato». È l’i­nizio di un’odissea che porterà Czapski ad attraversare l’intera Unione Sovietica – e gli eventi più estremi del secolo scorso – con l’incarico di indagare sui quindicimila pri­gionieri polacchi che sembrano scomparsi nel nulla (e che verranno in parte rinvenu­ti, nel 1943, nelle fosse comuni di Katyn’). Un’odissea qui raccontata in presa diretta e in ogni – spesso sconvolgente – detta­glio: dall’esodo in condizioni disumane di militari e civili alle atroci testimonianze dei reduci dai campi, dall’incontro con il ca­po della Direzione centrale dei lager («pa­drone della vita e della morte di qualcosa come venti milioni di persone») ai contat­ti con le popolazioni. Esperienze che, per Czapski, diventano anche «una lenta, quo­tidiana iniziazione all’immensità della mi­seria umana».

 

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William S. Burroughs – Junky

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Era dai tempi delle Confessioni di un mangiatore d’oppio di de Quincey che un cono di luce così livida, spietata, non cadeva sulla terra desolata battuta dal tossicodipendente. Burroughs, che tossicodipendente lo è stato a lungo, impenitente e irredento, cerca qui la nostra complicità, ci invita nel mondo criminale mettendo a nudo il nostro voyeurismo, ci attira, ci porta dove vuole finché siamo costretti a domandarci: da che parte stiamo? Dov’è la linea che separa legalità e criminalità? E prima ancora: chi è a tracciarla? Junky è l’unica storia trasparente di Burroughs, lucida, tesa, asciutta, anche se in queste confessioni si incontrano formule e immagini che per forza visionaria adombrano episodi e figure dei romanzi a venire. È come leggere due libri simultaneamente, l’uno insolitamente diretto per uno come lui, l’altro complesso, tortuoso, ingannevole. E le due maschere si danno di continuo e impercettibilmente il cambio sul volto sempre sfuggente, misterioso, magnetico dell’autore.

 

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Luigi Luca Cavalli-Sforza ; Paolo Menozzi ; Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani [LDB]

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L’opera fondamentale per chi vuole cominciare a capire il rapporto fra il nostro patrimonio genetico e la storia delle civiltà.
«Questo è lo studio a tutt’oggi più completo delle variazioni genetiche umane, e getta le basi di ogni futura ricerca sull’antropologia genetica. Una straordinaria commistione di sintesi e analisi» «Science».

 

 

 

 

 

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Ezra Pound – Opere scelte

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A Ezra Pound, figura molto discussa ma centrale della poesia del Novecento, sono dedicati due volumi, entrambi curati dalla figlia del poeta, Mary de Rachewiltz. Nel secondo volume presenta una scelta degli scritti critici di Pound, le sue traduzioni da Confucio e dai poeti classici cinesi, e un’antologia delle poesie scritte prima dei Cantos.

 

 

 

 

 

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Christophe Dejours – Si può scegliere. Soffrire al lavoro non è una fatalità [LDB]

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Orizzontalità, autonomia, flessibilità, self-management: nel corso degli ultimi decenni un pugno di concetti ha orientato una mutazione genetica del mondo del lavoro. Cambiamenti imposti dall’alto tramite nuove forme di gestione sono andati di concerto (nella maggior parte dei paesi europei) a nuove legislazioni tese a smantellare garanzie e diritti novecenteschi. Ciò ha contribuito a una precarizzazione della vita lavorativa che, parallelamente, veniva promossa con insistenza presso i lavoratori “nel loro stesso interesse” da una retorica diffusa in modo capillare (dai Master in business administration più costosi ai manuali di self-help e ai barbecue aziendali). Scisso tra desideri di libertà e un disciplinamento (di ritmi e corpi) reso sempre più serrato dalle nuove tecnologie, il rapporto delle soggettività contemporanee con il lavoro attraversa un cambiamento epocale. Da circa trent’anni Christophe Dejours indaga le conseguenze nefaste per la salute mentale delle organizzazioni manageriali del lavoro, diventate prassi generale dagli anni ’80 in poi. Purtroppo la storia gli ha dato ragione: nelle imprese e in diverse aree i suicidi si moltiplicano. Nella prima parte del libro, sono analizzate perciò le condizioni di lavoro in un servizio di rianimazione di un ospedale pubblico e in una impresa di telefonia. Si scopre che le derive del lavoro non cessano di aggravarsi, nel settore pubblico come in quello privato. Se l’esplosione di sofferenza nel lavoro oggi è riconosciuta, non lo è altrettanto la responsabilità di cercare nuove ipotesi di organizzazione e di predisporre una osservazione per verificare se funzionano umanamente. Questo è l’oggetto della seconda parte del libro: Dejours rende conto di un’esperienza fatta lungo sette anni con un economista allo scopo di trovare una re-organizzazione del lavoro che possa garantire la tutela della salute mentale insieme alla tutela della riuscita commerciale dell’impresa. L’autore fornisce a chi governa tutte le chiavi per cambiare finalmente la forma del lavoro e, di conseguenza, anche della società.

 

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Alfredo Giuliani – La biblioteca di Trimalcione [LDB]

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Si può amare il De rerum natura? Sì, a pat­to, spiega Giuliani, di rovesciare la creden­za comune secondo la quale Lucrezio mette in versi la dottrina materialistica epicu­rea. Si imporrà allora quel «razionalismo visionario» che, attraverso l’esplorazione dei fenomeni di ogni ordine, «si esalta oltre le mura fiammeggianti del mondo». Ma rovesciare la credenza comune richie­de – direbbe Manganelli – qualcosa di più di un sapere «da professore o da irto pe­dagogo». Esige un lettore avido di «tran­gugiare polpa di chimere» e di accumula­re biblioteche personali, capace di gelose relazioni (con Kierkegaard, per esempio) come di improvvise scoperte e meditate ri­pulse; un critico tanto immune da timorati specialismi e paralizzanti gerarchie da sen­tirsi a proprio agio discorrendo del mon­do «fragile e tenace come una ragnatela» della Storia di Genji o della patafisica di Jar­ry, «scienza ingorda di annettersi l’univer­so». E, soprattutto, uno scrittore in grado di afferrare ciò che ha letto e di restituirlo con memorabile incisività: così il Samuel Johnson di Boswell è una specie di «Pick­wick ciceroniano», l’amato Leopardi «un materialista platonico», Cioran «un dandy della maldicenza metafisica», e Se una notte d’inverno un viaggiatore di Calvino «un trucco d’amore per attrarre la letteratura nel vuoto e lasciarla lì sospesa». Senza que­sta fatale qualità, del resto, Giuliani non sarebbe riuscito a trasmetterci la sua pas­sione – e insieme a irriderla: «Non sono forse così, abbuffate trimalcioniche, vuoti farciti di studiate leccornie, le nostre in­ cessanti letture…?».

 

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Vittorio Strada – Il dovere di uccidere. Le radici storiche del terrorismo [LDB]

Il dovere di uccidere

Chi è il terrorista? Qual è il suo mondo interiore? Cos’ha di diverso dal soldato e dal criminale?
Per Vittorio Strada è nella Russia della seconda metà del xix e dell’inizio del xx secolo che ha avuto la sua più grande affermazione il terrorismo, prototipo delle ondate successive che avrebbero suscitato in intellettuali come
Dostoevskij, Nietzsche, Mann e Camus riflessioni morali, religiose e politiche ancora di grande attualità.
Dalle prime avvisaglie fino alla svolta storica dell’ottobre 1917, il libro ripercorre episodi cruciali e figure significative, analisi problematiche e illuminanti, a cui si affiancano nuove interpretazioni di opere letterarie considerate non come materiali illustrativi, ma espressioni vive di una drammatica pagina della storia russa ed europea che aiuta a capire non soltanto un recente passato ma anche il presente.
Oggi che il terrorismo riappare, sia pure in tutt’altre vesti, come manifestazione aggressiva di una civiltà diversa, intrecciata a quella occidentale a cui si oppone, conoscere la vicenda russa può far emergere la segreta affinità tra nuovo e vecchio terrorismo, per provare a immaginare delle soluzioni.

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Henri Michaux – Altrove. Viaggio in Gran Garabagna. Nel paese della Magia. Qui Poddema [LDB]

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Altrove è una delle opere più felici di tutto questo secolo. Pubblicato nel 1948, in quasi sessant’anni ha preso sempre più sapore ed è diventato un libro senza tempo, come a pochi succede. Descrive paesi immaginari, come quelli evocati da antichi cronisti, da antichi viaggiatori fantastici. Molti di questi paesi però sono quelli delle nostre fissazioni, dei nostri vaneggiamenti morali. Ogni paese serve a descrivere un temperamento. Si sente l’eco d’una vocazione etnografica, che l’autore ha seguito in gioventù. Ma anche quando parla di paesi che ha visitato davvero, in altri libri molto insoliti, Michaux lascia andare le frasi dove vogliono loro: non le frena con l’avarizia dell’intellettuale che vuol sempre confermare le sue idee. Allora ogni frase diventa una acrobazia immaginativa, una specie di volteggio sul trapezio delle virgole. E tutte queste acrobazie sono comiche, naturali – «naturali come le piante, gli insetti, naturali come la fame, le abitudini, l’età, gli usi, le consuetudini…» In tutti i libri di Michaux la scrittura sembra qualcosa che viene fuori come una secrezione naturale, come la bava delle lumache, come la tela del ragno, come un porro sulla pelle, o come gli escrementi che ogni giorno evacuiamo. Si sente che non c’è mai il problema di dimostrare qualcosa, ma solo di lasciar fluire una secrezione che lascia tracce sulla pagina. Perciò a momenti è così rasserenante. Perché in lui non c’è niente dell'”artista creatore”, niente di queste pretese di serietà artificiale. Lui lascia andare avanti le frasi per vedere cosa si inventano. Ma mentre un mercato di professionisti ci scaraventa addosso mattoni con centinaia di pagine da leggere in fretta per arrivare alla fine inebetiti, Michaux spesso ci lascia lieti e sazi con poche righe. (Gianni Celati, 2005)

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