Sándor Márai – Il gabbiano

Quando la giovane donna che ha chiesto udienza entra nel suo ufficio, il consigliere di Stato ha una reazione bizzarra: una violenta ilarità si diffonde nelle sue membra come un formicolio. “È così che deve ridere il diavolo» pensa l’alto funzionario “quando si rende conto … che il suo volto … somiglia – sia pure in modo deforme e orrendo, vago e terribile – a quello di Dio». Perché la splendida creatura che gli sta davanti è il doppio perfetto di colei che anni prima, nella penombra di una stanza, gli aveva chiesto, con voce lievemente roca, citando Lord Lyttelton: “Tell me, my Heart, if this be Love?». Poco tempo dopo quella donna si era uccisa – per amore di un altro. E adesso è tornata, pensa l’uomo: adesso che lui, a quarantacinque anni, comincia a sentirsi vecchio; ed è tornata proprio nel giorno in cui egli ha appena controfirmato un documento che getterà il suo paese nella tragedia della guerra. Ma la giovane seduta di fronte a lui gli dice di venire dal Nord e di chiamarsi Aino Laine: un nome che in finlandese significa Unica Onda. Che cosa vuole? Un permesso di soggiorno, dice… Eppure, forse, non tutto è così limpido, e il consigliere lo scoprirà al termine di una lunga notte in cui quella donna, comparsa all’improvviso nella sua vita come un gabbiano planato da lontananze boreali (uccelli voraci, i gabbiani, dotati di una straordinaria energia, e di occhi grigioverdi, simili a quelli di Aino), si mostrerà più ambigua e indecifrabile di quanto lui avesse immaginato – e gli svelerà qualcosa di sorprendente sull’unicità delle creature umane. Ancora una volta – come nelle Braci, come in Divorzio a Buda – al centro di questo enigmatico romanzo troviamo un triangolo amoroso, che Márai ci narra con quella carezzevole e crudele maestria che è soltanto sua.

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