Ivan V. Tjulenev – Proletari a cavallo

I libri pubblicati in Italia sulla rivoluzione russa sono ormai tanti da poter riempire intere librerie. Tra studi storici, commenti critici, ricostruzioni e diari, di grossi personaggi mancava tuttavia finora la testimonianza diretta di qualcuno del popolo: cioè non si era ancora riusciti a comprendere bene quale molla, attraverso gli sviluppi politici, abbia spinto prima, e condotto poi, contadini, soldati, operai, ossia i veri protagonisti della rivoluzione, non solo a un iniziale entusiasmo (riscontrabile in ogni sommossa), ma a quella convinzione compatta che sta alla base di un modo nuovo di vivere e di pensare. Ora, a differenza di altre narrazioni sulla rivoluzione e la guerra civile russe, descritte da testimoni oculari quasi sempre attenti, più che a raccoglierli, a giudicare e interpretare gli avvenimenti, il libro di Tjulenev (divenuto generale dell’armata rossa, dopo avere esordito nella vita militare come rozza recluta contadina, sottoposta agli arroganti e incompetenti ufficiali zaristi di un’arma a cavallo) ci permette di assistere allo sviluppo, se non naturale, inevitabile di un popolano senza ambizioni di potere. È il cammino dalla servitù all’affrancamento che ripercorriamo con il giovane Tjulenev, dal primo contatto con i moti rivoluzionari contadini della sua infanzia al giorno che, in trincea, un soldato pietroburghese gli svela l’esistenza, nella sua città, di autentiche forze popolari in grado di scuotere dalle fondamenta le strutture dello Stato. Con chiarezza, senza retorica e presunzione, vien fatto rivivere il lento maturare della coscienza del protagonista, il suo risveglio ardente e esplosivo e la decisione di agire presa quando si rende conto di poter davvero contribuire a dare, con la sua azione personale, un indirizzo agli avvenimenti: quegli avvenimenti che prima si svolgevano senza che egli, e quelli come lui, potessero incidere sul loro corso. « Ecco qua a che punto siamo, fratello. Fino a poco tempo fa io e te eravamo bestie da soma, lasciate a morire nelle trincee. Adesso invece discutiamo di affari di Stato di grande importanza. Questo cambiamento lo dobbiamo ai bolscevichi! » Questa frase, pronunciata da un amico di Tjulenev, riassume il senso della partecipazione popolare alla rivoluzione: il popolo è diventato autore della storia, invece di esserne lo strumento passivo. Il protagonista, elevato a responsabilità sempre maggiori, si stacca dalla narrazione strettamente autobiografica per entrare nel vivo della grande vicenda storica, che descrive attraverso la sua visione « ortodossa ». Ecco le leggendarie imprese dell’armata a cavallo di Budennyj, la presa di Kronstadt tenuta dai marinai ribelli, i discorsi di Lenin, l’instaurazione della « nuova politica economica ». È interessante notare come, a questo punto, agli entusiasmi rivoluzionari segua un velo steso su più di quindici anni di storia russa: lo stalinismo è passato sotto silenzio, soltanto ricordato come un periodo di « affermazione e di progresso ». Soltanto davanti all’avanzata delle truppe tedesche la narrazione del vecchio soldato riprende, forse più pacata e rigorosa, ma con grande capacità evocatrice, quando descrive la durissima guerra nel Caucaso, fra le vette ghiacciate. Nel suo tono costantemente soggettivo sta il vero pregio del libro, diario di avvenimenti storici ma anche, e soprattutto, di valori intimi maturati e conservati negli anni.

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