Nell’autunno del 1964, dopo cinque anni di silenzio, Parise pone fine a un nuovo romanzo, Il padrone, che gli appare simile a una favola «minuziosa e crudele». Da una favola, in effetti, sembra uscita la ditta commerciale (ma non sarà difficile riconoscervi la casa editrice dove Parise lavorò a lungo) in cui il giovane protagonista, appena sbarcato dalla provincia in una grande città, trova lavoro: un palazzo di vetro che, con la sua cuspide aguzza, esercita una irresistibile forza di attrazione. E da una favola parodistica o da un cartoon sembrano usciti i personaggi che lo popolano: il malinconico, nevrotico dottor Max, il padrone, diviso fra la passione per la filosofia e l’ansia di scalzare il potere del padre, il vecchio Saturno; Uraza, sua madre e principale alleata, che nell’enorme massa di capelli soffici e fiammeggianti ha un potentissimo strumento sensorio; la fidanzata Minnie, che accompagna ogni gesto con un’onomatopea da fumetto; il fedele autista-infermiere-spia Lotar, incarnazione della forza bruta e della più ottusa fedeltà; e la folla di collaboratori e dipendenti, dall’immenso e infido dottor Bombolo agli inermi Pluto e Pippo. Ma, soprattutto, rinvia a una favola filosofica il gelido incantesimo che imprigiona la ditta trasformandola in una immane trappola mortuaria: far parte del suo organismo significa infatti essere proprietà del dottor Max, e dunque – prigionieri delle involuzioni e delle allegorie del suo pensiero – rimuginare senza tregua su cambiamenti di umore e repentine simpatie e antipatie, sopravvivere a misteriose e inestirpabili malattie, diventare insomma una cosa. Segnata dalla poesia della «crudeltà espressiva» e del «taglio chirurgico» (Montale), questa favola ferocemente sarcastica suscita un’angoscia antica e profonda: se infatti non c’è realtà senza padroni e senza gerarchia, la sola libertà, come ha dichiarato Parise in un’intervista, «coincide con la morte».
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Goffredo Parise – Il prete bello [Pdf – Doc – Epub]
Nel 1953 Goffredo Parise si trasferisce a Milano, dove ha trovato lavoro presso un grande editore. Ha pubblicato due romanzi che pochi conoscono – Il ragazzo morto e le comete e La grande vacanza – e ha il vago desiderio di scriverne un terzo che lo diverta e commuova «tanto da cacciare il freddo e la solitudine»: un romanzo «con molti personaggi allegri», ma soprattutto «estivo». Uscito nel maggio del 1954, Il prete bello riscuoterà un clamoroso successo. E rileggendolo oggi, quando ormai le etichette impugnate per celebrarlo o denigrarlo sono alle nostre spalle, ci accorgiamo che il suo segreto sta tutto in quella genesi: nella festosa eccentricità dei personaggi che popolano un labirintico e fiabesco caseggiato nella Vicenza del 1940, e di colui che saprà stregarli tutti: don Gastone, il «prete bello». Personaggi quali la ricca signorina Immacolata, con i suoi strani cappellini a piume e l’occhialino d’oro cesellato; le Walenska, madre e figlia, che si scaldano ingrandendo con una enorme lente l’unico raggio di sole che al tramonto penetra nella loro stanza; il cav. Esposito, che tiene sotto chiave le cinque figlie concupiscenti; Fedora, la cui rigogliosa natura si spande dagli occhi e da tutto il corpo, quasi che «dai pori uscisse un polline dolciastro»; e la cenciosa banda di ragazzi truffaldini e sentimentali che nei vicoli e sotto i portici cercano ogni giorno di sopravvivere trasformandosi in ladri, ruffiani e mendicanti – in particolare Sergio, il narratore, e il suo amico Cena. In tutti loro, nelle vene e nel sangue, l’atletico, elegante, vanesio don Gastone si infiltra come una passione oscura, violenta ma capace di dare improvvisamente vita – e come nel Ragazzo morto e le comete ci troviamo di fronte a «una sostanza poetica che ribolle e rifiuta di assestarsi entro schemi definiti» (Eugenio Montale).
Goffredo Parise – Guerre politiche. Vietnam, Biafra, Laos, Cile [Pdf – Doc – Epub]
Che cosa rende questi reportage in paesi sconvolti da guerre atroci – Vietnam, Biafra, Laos, Cile -, in anni, fra l’altro, ormai remoti, tanto vivi e intensi. Soprattutto, una qualità ignota alla maggioranza degli inviati di guerra: l'”amoroso tocco”, potremmo dire, che spinge Parise a rischiare la vita non tanto per trasmettere dati e informazioni o esercitare la “ragione analitica” ricostruendo fedeli ed effimeri scenari geopolitici, quanto piuttosto per partecipare del sentimento che domina i popoli di quei paesi. Non si tratta dunque di passione politica o militare, ma di “una specie di fame $sica e mentale che porta a confondere il proprio sangue con quello degli altri, in luoghi o paesi che non siano soltanto quelli della propria origine”. Una passione cui si accompagna un occhio assoluto capace di cogliere, ad esempio, un lenzuolo insanguinato che scivola da un elicottero e schiocca nell’aria bollente del Vietnam come una bandiera; o ancora di trasfgurare le donne vietnamite in volpi che attraversano di notte un prato nevoso per andare da un bosco all’altro – e la cui preda è l’America. Ma alla passione umana del Parise reporter si accompagna anche uno speciale intuito, una vibrante capacità di analisi, in virtù della quale il conflitto vietnamita ci appare uno scontro fra uomini “puri, prismatici e refrigerati come una sfilata di bottiglie di Coca-Cola” da un lato e la vita “con tutto il suo esplosivo e misterioso disordine, la sua estrema mobilità animale” dall’altro, e il terribile spettacolo della carestia e della fame nel Biafra, con i suoi 6.000 morti al giorno per denutrizione, rivela in filigrana un luciferino disegno propagandistico – il raccapricciante lancio pubblicitario di una merce destinata a conquistare il mondo intero: cadaveri di bambini.
Goffredo Parise – L’eleganza è frigida [Pdf – Doc – Epub]
La prima notte che Marco trascorre a Tokyo è sorprendentemente silenziosa – e il suo sonno “simile a quelli della convalescenza o della salvezza”. Mai, tuttavia, la singolarità delle sue inchieste è stata così lampante, e mai il loro fascino così intenso: a raccontarci il Giappone, “pianeta rotante nel silenzio e nella solitudine della volta celeste”, è infatti un doppio dell’autore, in fuga da un paese sconvolto da “millenni di furti, ricatti e assassinii”. E a muoverlo è quello stesso bisogno di essenzialità, di rigenerazione, che innerva uno dei vertici della narrativa di Parise, i Sillabati. Attraverso il suo sguardo infantile, il lettore conoscerà le più diverse facce del Giappone: dai templi di Kyoto, dove si può percepire “il distacco dal corpo che avviene per poco ossigeno”, ai lottatori di sumo, che sprigionano la più alta forma di espressività fisiologica; dall’atelier dove il vecchio Moriu-guchi dipinge chimono con sicurezza sublime, “simile al lavoro appena frusciante dei bachi da seta nei granai”, ai cantanti di gagaku, nella cui voce risuonano i “movimenti lentissimi degli immensi blocchi gelidi dell’era glaciale”. E scoprirà l’anima segreta di un paese che cela, dietro la maschera occidentale, un “classicismo cellulare”.