Albert Caraco – Supplemento alla Psycopathia sexualis

Scrittore classificabile tra i grandi moralisti del nostro tempo, come Nietzsche, Kraus e Bataille, Caraco solleva, in queste pagine, il lembo dell’ipocrisia sulle perversioni. Parodiando il tono dei trattati di sessuologia, in cui le più inimmaginabili bizzarrie sono esposte con il freddo distacco della scienza, il libro penetra nella zona scura della vita sessuale, là dove il compito è portare alla luce i vizi di casa, la faccia d’ombra delle famiglie.

Per ogni perversione Caraco narra di un tale che l’ha fatta sua in un particolare modo. Si dà allora il caso del masochista che è infelice perché ha troppa felicità, o dell’omosessuale che per punirsi va alla conquista di tutte le donne, o del necrofilo che legittima con la filosofia le proprie tendenze, o del mistico che vuole rinnovare le pratiche orgiastiche degli gnostici. Nelle infinite copule descritte in questo libro, si può anche scorgere l’opera di un asceta, che si diverte a mostrare l’insensatezza e la miseria del suo alter ego: l’uomo erotico.

Paul Valéry – La caccia magica

“… Ma la caccia dialettica è una caccia magica. Nella foresta incantata del Linguaggio i poeti vanno espressamente con lo scopo di perdersi, e inebriarsi di smarrimento…

“Nelle pagine che in modi e tempi diversi Valéry trasse dall’ininterrotta meditazione dei suoi Cahiers è dato al lettore d’incontrare figure sorprendenti e capziose: divinità sopite o sibilline, mostri compositi quali sirene o centauri, antri e cacce magiche, —    metafore nate dall’esperienza del maraviglioso poetico e dalla diffidenza per il preteso rigore del linguaggio estetico.

Una sottile polemica antifilosofica presiede, infatti, alla scelta di queste formule eleganti ed apparentemente elusive, che traducono in teoria non solo l’esercizio del “fare poesia”, ma quello —    ben più importante agli occhi di Valéry — del continuo “osservarsi in quel fare”: la Ragione diventa, così, una divinità “che crediamo vegli, ma che dorme piuttosto, in qualche grotta del nostro spirito”, la Dialettica è un cacciatore che incalza invano la sua preda “braccandola, spingendola fin nel boschetto delle Nozioni Pure”, mentre la critica letteraria si affanna con vacua pedanteria a “contare e misurare i passi della Dea”.

Questo popolo di figure — tratto da un comune, o da un personale patrimonio poetico — interviene nelle pagine di Valéry con funzione sottilmente dissacrante: lo sfarzo variopinto di una metafora, il marmoreo nitore di una similitudine sono strumenti di una critica garbata ma corrosiva che mette in discussione quelle stesse tradizioni di pensiero e di linguaggio su cui si fonda la nostra cultura.

Joris-Karl Huysmans – L’oblato

L'oblato di [Huysmans, Joris-Karl]

Terzo romanzo della cosiddetta «trilogia di Durtal», L’oblato mette in scena il personaggio che costituisce il doppio letterario dell’autore, convertitosi alla fede cattolica dopo avere accostato gli abissi della magia e del satanismo, come narrati nel romanzo L’abisso. Oblato, come indica il titolo, presso l’abbazia benedettina di Val des Saints – nome di fantasia per descrivere l’abbazia di Ligugé, dove Huysmans visse egli stesso come oblato –, Durtal è l’espediente narrativo attraverso il quale l’autore tesse la storia del rapporto fra il personaggio e la comunità monastica, e mediante il quale Huysmans descrive in memorabili pagine la liturgia cattolica, le sue idee sul cattolicesimo contemporaneo e soprattutto le sue riflessioni sulle questioni centrali della fede, fra cui il tema nodale della sofferenza.

Joris-Karl Huysmans – Soltanto qualcuno

Pubblicato nel 1884, il libro raccoglie molti ritratti di artisti, non solo francesi e non solo contemporanei, alternali a pagine dedicate a particolari temi e fenomeni artistici e sociali: dal dilettantismo al mercato dell’arte, all’uso del ferro in architettura, al difficile rapporto tra arte e produzione industriale. Huysmans, inquieto flàneur, si aggira disgustato, commosso, incuriosito, in una Parigi che muta rapidamente, presa com’è dalla fretta di sostituire nuovi idoli agli antichi e di cancellare il passato. Nel suo girovagare tra musei, mostre, e nuovi monumenti, come la Tour Eiffel, Huysmans si interroga sulla modernità che lo attrae e lo respinge, ne soppesa appassionatamente i simulacri, le tendenze e le scoperte, confrontando continuamente passato e presente e mettendo la propria abilità di critico anticonformista, acuto ed estremamente percettivo, al servizio di una vasta e profonda ricerca spirituale.

Joris-Karl Huysmans – L’abisso

A scendere nell’abisso evocato dal titolo è Durtal, scrittore della Parigi fin de siecle in preda a una profonda crisi umana e professionale. Non si riconosce più nell’ambiente culturale che lo circonda e si trova a disagio con i modi del naturalismo e del razionalismo, di cui percepisce i limiti e la ristrettezza di orizzonti. La società contemporanea, coi valori e i meccanismi che la reggono e con la sua visione dell’uomo e della vita, produce in lui un senso di repulsione e sofferenza dal quale non riesce a trovare sollievo. Soprattutto, sente insopprimibile la necessità di sondare i presunti confini della celebrata realtà, di capire se effettivamente tutto può essere ridotto entro le sole coordinate materiali e terrene. Questa sua ansia di evadere dalle forme intellettuali in voga e di sperimentare il nuovo lo portano a scrivere un libro su Gilles de Rais, maresciallo eroico, mistico, ma anche libertino sfrenato, torturatore e assassino, che Durtal definisce «il più crudele e scellerato degli uomini del XV secolo». Per documentarsi, inizia a frequentare il mondo affascinante e perverso dell’occultismo e del satanismo. Saranno il medico Des Hermies, l’amante Hyacinthe Chantelouve e il canonico Docre e le sue messe nere a trascinarlo Là-bas (come recita il titolo originale), laggiù: una discesa che è anche esplorazione della complessità dell’animo umano, in cui si mescolano bene e male, santità e crudeltà, in un chiaroscuro di fortissime contraddizioni apparentemente insanabili, autentico riflesso della realtà.

Gerard de Nerval – Le notti d’ottobre

Le notti d'ottobre di [De Nerval, Gérard]

Dai boulevard ai caffè del Palais-Royal, da un ballo popolare a una società musicale, sino ai cabaret più malfamati delle Halles, ultimo rifugio, verso l’alba, dei flâneurs e dei senzatetto: Le notti d’ottobre si apre con una partenza mancata che si trasforma in esplorazione del centro di Parigi. È la passeggiata familiare a tutti i nottambuli del tempo che, quando si spengono le luci dei quartieri eleganti, non disdegnano la saporosa zuppa di cipolle servita nella pittoresca cornice dei mercati generali. Guida infallibile di Nerval su questo terreno è il gusto affinatissimo per un’«archeologia dell’irrilevante» che, prima di rivivere in Aragon, Queneau e Perec, gli ispira qui pagine di grande bellezza. Il dato realistico subisce tuttavia una costante metamorfosi che reca l’impronta inconfondibile del suo mondo interiore, dei miti e degli archetipi che popolano i suoi sogni, della sua visione alterata del reale – carattere precipuo della seconda parte della narrazione, dedicata a un breve vagabondaggio provinciale. Il tratto che, forse, su tutti si impone, è però quello offerto da un’acuta autoparodia che sempre salva Nerval dalle tentazioni del titanismo narcisista e che è il volto ascetico dell’immaginazione, capace di correggere le proprie ricorrenti tentazioni di onnipotenza.

Pierre Klossowski – Il bagno di Diana

Il bagno di Diana di [Klossowski, Pierre]

Il mito di Diana e Atteone ha avuto sempre qualcosa di decisivo da dire agli uomini, e nelle sue numerose versioni – così come nelle rappresentazioni pittoriche, da Tiziano a Rembrandt – ha sedotto le più grandi menti del pensiero e della letteratura occidentali. In questo libro, a metà tra il saggio e la favola, tra l’excursus erudito e la «meditazione occasionale», Pierre Klossowski, mitografo eterodosso, racconta e decifra sapientemente ogni dettaglio della storia, scomponendo il quadro in una rete di elementi simbolici. «Diana al bagno» appare così come un’epifania paradossale del divino: una teofania che si realizza attraverso una visione sacrilega eppure necessaria. Ma è anche una caccia tragica, dionisiaca. Diana si materializza tramite lo sguardo di Atteone, che la fa, letteralmente, consistere; e Atteone abbraccia il proprio destino di intermediario sacrificale tra l’umano e il divino accettando ogni prevedibile conseguenza: l’estasi, il delirio, l’autodistruzione, giacché si annulla, attraverso la metamorfosi in cervo, nella divinità che ha sorpreso senza veli.

Louis-Ferdinand Céline – Colloqui con il professor Y

«Il nostro professor Y, come mille altri, laureati, docenti, cogli occhiali, senza occhiali, ci aveva un manoscritto “in lettura”… non sono più romanzi quelli che pubblicano, ma tanti compitini!… compitini sarcastici, compitini archeologici, compitini proustici, compitini senza capo né coda, compitini! compitini nobelici… compitini anti-antirazzistici! compitini per piccoli premi! per grandi premi!…» Celine dà così sfogo nelle pagine violente di questo suo romanzo-pamphlet a un delirio, o se si·preferisce, a una festa verbale dai toni tipici dell’invettiva, orchestrata dentro lo scenario di un’umanità impietosa e di una visione catastrofica della storia. Nella fattispecie, Celine finge di concedere un’intervista all’immaginario professor Y sul perché non si vendano più i suoi libri, intervista sollecitata dal suo editore e che si trasforma inevitabilmente in un frenetico, sincopato soliloquio. Sinché il professor Y, stremato e ubriacato dal fiotto di invettive di Celine, sviene, stramazza, cerca scampo…

Louis-Ferdinand Céline – Mea Culpa e La Bella Rogna

Di ritorno dall’Unione Sovietica nel 1936, Celine pubblica il primo dei suoi scottanti e sbalorditivi pamphlet politici: “Mea culpa”. Il testo, che qui viene proposto nella traduzione e con una introduzione di Giovanni Raboni, non è solo l’appassionato e disperato atto d’accusa contro gli spaventosi limiti della natura umana, ma anche una preziosa testimonianza che permette di cogliere le illuminazioni di una spregiudicata profezia. In appendice al volume sono raccolti due testi che documentano da un lato la storia della ricezione di Mea culpa in Russia e rivelano dall’altro il rapporto di Celine con autorevoli esponenti francesi della “letteratura impegnata”.

Louis-Ferdinand Céline – Bagatelle per un massacro

Quando in Francia, nel dicembre 1937, uscì Bagatelles pour un massacre, Louis-Ferdinand Céline (1894-1961) era ormai un scrittore di successo e un maestro indiscusso della letteratura contemporanea. Con i romanzi Voyage au bout de la nuit (1932) e Mort à crédit (1936) si era guadagnato sia i favori del pubblico che quelli della critica più attenta, e aveva davanti a sé la prospettiva di una brillante quanto prevedibile carriera letteraria. Ma con la pubblicazione di Bagatelles pour un massacre (che pure ottenne largo consenso tra i lettori) e con lo scandalo che ne segui, Céline compromise volontariamente quella carriera e scelse la strada dell’emarginazione dalla cultura ufficiale, che scatenò contro di lui attacchi violenti (gli costarono, tra l’altro, il posto di medico al dispensario di Clichy) e l’accusa di antisemitismo. Che cosa spinse Céline a scrivere Bagatelles pour un massacre, «pamphlet» ancor oggi innominabile e mai più ristampato in Francia nel dopoguerra? Ricorrere, come è stato fatto, a motivazione patologiche, psicologistiche, o puramente estetiche per spiegare questo infernale atto di accusa e di autoaccusa, significa ridurre l’importanza del libro, che trae origine da ragioni più complesse. «Nel Voyage e in Mort à crédit — scrive Ugo Leonzio nella prefazione alla presente edizione, la prima integrale per l’Italia — l’inferno piccolo borghese, con i suoi riti e le sue disperazioni, è il bersaglio che Céline si è proposto. Ma è proprio il successo clamoroso di questi due libri che conduce Celine alla definizione del suo stato di insufficienza: il successo gli garantisce il ruolo di scrittore ma esaurisce l’epoca delle confessioni: l’inferno ha ricevuto i suoi contorni precisi e si è ammutolito. […] Il successo ha esaurito il suo mondo narrativo ma non il trauma che lo ha portato a scrivere e che, ora, è privo di nutrimento». Per Céline, che non è scrittore di invenzione, l’uscita da questa “impasse” può avvenire solo privilegiando come argumenta di scrittura l’attualità più oggetiva e scottante. Per questo motivo in Bagatelles pour un massacre, che crudeltà e paradosso apparentano alla Modesta proposta di Swift, il bersaglio scelto dallo scrittore è l’ebreo, non in quanto tale, ma i quanto prototipo, nel suo tempo e nella sua società, del potere. Ma se è fuorviante leggere questo libro come opera puramente letteraria, altrettanto errato sarebbe considerarlo come contributo a un progetto politico: l’odio da cui nasce e da cui è alimentato Bagatelles pour un massacre si configura, a ben vedere, come la forma più perversa del dolore umano, cioè come la forma più profonda e incomunicabile dell’amore.