Manlio Sgalambro – La morte del sole

In questo libro parla un filosofo di cui non sapremo fino all’ultimo a quale scuola appartenga. Ma subito percepiamo il suo timbro: è un pensiero che ci offre il suo stile prima ancora dei suoi concetti. Vagando fra gli imponenti relitti della storia della filosofia, Sgalambro risale alla celebrata conversione del «vero» nel «certo», che si compie con Descartes – e, con freddezza protocollare, riconosce nei passi successivi la graduale cancellazione dell’«unilateralità scandalosa del vero». Insieme al «vero», nel suo baldanzoso avanzare, la filosofia progressiva tendeva a sbarazzarsi del «mondo», in quanto origine di quel terrore da cui la filosofia era nata e che ormai la macchiava soltanto. La transizione dall’illuminismo all’idealismo appare allora come il passaggio da un tentativo di guardare il mondo senza terrore a una risoluzione di abolire il mondo stesso, mentre il terrore intanto continua a crescere. La «prassi» infatti – ora adorata come un tempo l’Uno – non riesce a nascondere la visione che, a poco a poco, la scienza svela: quella dell’universo disincantato come di un immane mostro, acefalo e caotico, avvicinabile soltanto nell’ostile linguaggio dei numeri. Da allora, scrive Sgalambro, il «lutto matematico» avvolge le cose. Così si sviluppa, nella seconda metà dell’Ottocento, l’ossessione della «morte del sole», condannato dalla termodinamica, «spietata erede dei problemi della ‘salvezza’». La morte termica prende il posto dell’eschaton redentore. Il fantasma del sole in agonia si avventa da un futuro cosmico sul secolo della civiltà trionfante e lo paralizza in un tableau vivant della catastrofe. Per Sgalambro, questo quadro diventa lo sfondo di un magistrale tentativo di morfologia della décadence. Il suo è un procedere per incursioni rapidissime, non solo fra le grandi ombre di Kant, di Spinoza, di Schopenhauer, «voce dell’ultima filosofia cosmologica dell’Occidente», ma in tutto il frastagliato terrain vague del moderno, dove troviamo – quali altrettanti guardiani della soglia – Poe e Proust, Warburg e Simmel, Benn e Spengler. Sulle loro pagine, come su una Vanitas ingombra di oggetti abbandonati e lucenti, si posa lo sguardo complice dell’allegorista saturnino. Mentre con asprezza, con staffilante sarcasmo Sgalambro osserva il motore indefesso del nostro mondo, la macchina anonima di un «pensiero, che da quando è il più reale – in quanto fare, creare, produrre – non ha più realtà» e oggi assiste alla più desolata delle scene: non già alla deprecata «crisi dei valori», ma al loro squallido realizzarsi. A quel pensiero si contrappone, prima ancora che un pensiero avverso, un’altra percezione: quella del Roderick Usher di Poe, immagine di coloro «ai quali qualcosa di improvviso ha restituito il senso della realtà» e nell’indistinto fruscio della città mondiale odono l’eco del rumore originario: «La filosofia moderna ha inizio col dubbio, ma la filosofia eterna ha inizio col terrore».

Consiglio a cura di U.s.A. (come le altre correzioni di consigli precedenti)

Manlio Sgalambro – Trattato dell’empietà

«Osservare freddamente Dio – caldamente, lo fu già abbastanza». Per questa impresa, che è già in sé un’empietà, Sgalambro si è scelto come invisibili protettori quei grandi teologi dimenticati, come Suárez o Melchor Cano, che sapevano trattare di Dio con cupa professionalità. Qui, come ancora in Spinoza e in Schopenhauer, Dio torna a essere il mondo nella sua profonda estraneità, nella sua avversione al soggetto, che attacca fino a ucciderlo, nella sua controfinalità. Mentre oggi la filosofia dei disincantati è diventata almeno altrettanto consolatoria della filosofia dei bigotti, e per essa, alla fine, tutto va bene perché tutto è ugualmente infondato, il fosco sguardo del teologo fa risorgere il mondo quale alterità nemica, quale rocciosa resistenza al pensiero, quale catena delle cause che stringe in una morsa, «come una costrizione fisica».
Per praticare questo superiore «cinismo teologico» non occorre devozione, fede e sentimento, ma la capacità di guardare attraverso un vetro tentando di vedere il vetro, l’arte di «pensare contro se stessi», di avvolgersi nella vita della mente come nell’unica vera che ci sia concessa. Si traccia così una teologia non religiosa, oggi possibile «come ieri le geometrie non euclidee». E le figure del passato – si tratti di Proust o di Plotino, di Warburg o di Mauthner, di Renan o di Hegel – vi appaiono impigliate in un nuovo ordine di rapporti, che è illuminante. Un pensiero di questa specie non può che essere solitario all’estremo e risultare impenetrabile per chi è fedele all’«oscurantismo dell’illuminismo». Ma la superba asprezza di questo libro apparirà salutare a chiunque rifugga quei «tiepidi» che costituiscono gran parte della filosofia contemporanea.

Consiglio a cura di U.s.A.

Manlio Sgalambro – La consolazione [Epub – Mobi]

CoverDa molto tempo la filosofia tace – quasi ne fosse imbarazzata – sull’argomento della consolazione, così come trascura ostinatamente la figura del consolatore. Questi temi, tuttavia, benché spinti per comodità nei recessi più appartati, lontani dalla speculazione corrente, hanno continuato a informare occultamente il pensiero, tanto che forse non sarebbe illegittimo «riscrivere la storia della filosofia moderna dal punto di vista della consolazione». Se la vetta più alta della morale è la compassione, in virtù della quale un individuo riconosce se stesso nell’altro e agisce di conseguenza, il consolatore non prova che assoluta indifferenza nei riguardi dell’afflitto. Ma è proprio questa indifferenza a permettere il passaggio dalla compassione alla consolazione: «A me non importa nulla di te, ma solo così ti posso consolare». Al pari del cinico seduttore che, freddo come un rettile, finge l’amore dicendo ed eseguendo esattamente tutto ciò che schiude il cuore, così il consolatore mima la bontà con gesti artefatti. Le parole, le carezze di entrambi sono posticce, di cartapesta, nondimeno assolvono il loro compito, perché «c’è un inganno di cui, primo fra tutti, si rallegra mestamente l’ingannato».
In questo libro piccolo e denso, che ha la struttura di un trattatello, il pensiero viene indagato come dai grandi seicenteschi venivano indagate le passioni: nei suoi moti segreti, nella sua miseria e nella sua grandezza. Alla fine del percorso, che attirerà chiunque preferisca i sentieri aspri ai confortevoli itinerari accademici, il consolatore apparirà dunque «un truffatore, ma in senso superiore», e la consolazione si rivelerà come il contrassegno di quell’«età del gesto» preconizzata da Kant in cui, esaurite le risorse dell’agire, non rimarranno che le virtù taumaturgiche della parola.

Grazie a Filosofia in ita per la scansione di partenza.

Manlio Sgalambro – Dell’indifferenza in materia di società [Epub – Mobi]

CoverC’è un idolo dinanzi al quale i contemporanei, anche delle più opposte convinzioni, si mostrano bigotti: la società. Tutto viene ricondotto alla società quasi fosse la barriera ultima, oltre la quale non si distingue ciò che pure sarebbe forse più essenziale: la vita e la morte, il bene e il male, la felicità e l’infelicità. Come dando licenza a una furia a lungo repressa («Come si pronunciò un tempo, con orrore, “stato di natura”, così mi trovo a dire, con pari orrore, “stato di società”»), Sgalambro ha voluto, con questo pamphlet, scendere in mezzo alla «società» di cui tanto si parla per analizzare di che cosa è fatta. Sferzante, caustico, dichiaratamente provocatorio, ha così enunciato, con argomenti lucidi e appuntiti, le ragioni del suo dissociarsi da un amalgama politico-sociale dove la ricerca ansiosa della mediocrità va unita al desiderio di disprezzarla, in un circolo vizioso che permette di garantirsi con poca fatica una immeritata buona coscienza. La forma è diretta e bruciante, ma in filigrana si riconoscono i lineamenti di una «filosofia solitaria» che molti lettori hanno scoperto con ammirazione in questi ultimi anni.

Grazie a Filosofia in ita per la scansione di partenza.

Manlio Sgalambro – Dialogo teologico [Epub – Mobi]

coverSgalambro definisce questo scritto «una piccola macchina che smonta il concetto di Dio sino al suo scheletro». Diviso in due parti – la prima di soliloquio, inteso come «via regia della filosofia», e qui dedicato a un insolente e vigoroso autoritratto speculativo, che poi si diparte in «falso dialogo» –, questo breve testo sembra uscire dalle pieghe più nascoste della teologia medievale, là dove l’ossessiva attenzione a quella «massa d’essere» che è chiamata Dio aveva fatto crescere le piante avvelenate dell’avversione e della diffidenza: in breve, aveva allevato l’empietà all’ombra della scienza di Dio. Sgalambro rovescia brutalmente alla luce questo remoto e tenebroso passato con un gesto quanto mai moderno, possibile soltanto a partire da Schopenhauer – e che colpisce ben più a fondo le molli filosofie secolari oggi diffuse per il mondo che non l’aspra e antica sapienza teologica. «Ma uomo giusto è chi sa questo: che egli deve ‘annullare’ Dio quotidianamente affinché la misura dell’eterna giustizia quotidianamente si compia».

Grazie a Filosofia in ita per la scansione di partenza.