Jacques Derrida – Spettri di Marx [LDB]

Spettri di Marx incomincia con la critica di un nuovo dogmatismo, di un’intolleranza: “Lo sanno tutti, sappiatelo bene, il marxismo è morto, e Marx con lui, non c’è più motivo di dubitarne”. Un “ordine del mondo” tenta di stabilizzare un’egemonia fragile grazie all’evidenza di un “atto di morte”. Il discorso maniacale che prende il sopravvento ha la forma giubilatoria e oscena che Freud attribuisce alla fase trionfante nel nuovo lutto. (Refrain: “il cadavere si decompone in un posto sicuro, che non ritorni più, viva il capitale, viva il mercato, sopravviva il liberalismo economico!”). Esorcismo e scongiura. Una degenerazione tenta di neutralizzare la necessità spettrale, ma anche l’avvenire di “uno” “spirito” del marxismo. “Uno” “spirito”: l’ipotesi di questo saggio è che ce n’è più d’uno. La responsabilità finita dell’erede è votata alla scelta. Riafferma un possibile, e non un altro. Ma un simile discernimento critico come si apporta all’esigenza ipercritica – o piuttosto decostruttiva – della responsabilità?

 

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Terry Eagleton – L’idea di cultura [LDB]

Qual è la nostra idea di cultura? Il termine ha da tempo assunto una grande varietà di significati diversi, nati in ambiti specialistici e poi entrati nel linguaggio comune. L’esame dei diversi usi della nozione di cultura nel discorso contemporaneo è per Eagleton l’occasione per smontare alcune delle tendenze di fondo nell’attuale dibattito politico e sociale. Critico irriverente dei luoghi comuni, Eagleton evidenzia le debolezze dell’odierno relativismo culturale – che trasforma qualsiasi usanza collettiva in valore assoluto e non discutibile – ma anche l’irreversibile declino delle nozioni più tradizionali e autoritarie di cultura. Per far questo riparte dalle basi del concetto di cultura, dal rapporto tra cultura e natura, tra cultura «alta» e culture di massa, dalla possibilità di comprendere e giudicare culture diverse dalla propria. Il suo libro è un esercizio di intelligenza insieme didattico e provocatorio, capace di evidenziare alcune trame della filigrana ideologica della nostra epoca.

 

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Luciano Lanna, Filippo Rossi – Fascisti immaginari. Tutto quello che c’è da sapere sulla destra [LDB]

L’universo politico-culturale della destra italiana postbellica, le sue rappresentazioni e autorappresentazioni, i miti, le icone, le suggestioni, le invenzioni. Attraverso l’immaginario, una ricostruzione nuova e meticolosa, raccontata in oltre cento voci: da ‘Adelphi’ a ‘Zero Zero Sette’, passando per ‘Ray-Ban’ e ‘Valle Giulia’, ‘Berretti verdi’ e ‘Via col vento’, ‘Ragazzi di Salò’ e ‘Paninari’… Un dizionario avvincente e provocatorio fra politica e costume nell’Italia degli ultimi cinquant’anni, con qualche mistero svelato…

 

 

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Arnaldo Momigliano – Saggezza straniera. L’Ellenismo e le altre culture [LDB]

Quale fu l’atteggiamento dei Greci nei confronti delle civiltà dei Celti, degli Ebrei, dei Romani e degli Iranici con le quali essi entrarono in contatto, soprattutto nella fase declinante della loro storia politica? E quali le acquisizioni culturali che quei tre secoli (dal quarto al primo avanti Cristo), sotto la spinta della dinamica potenza romana, vennero definitivamente consegnate in eredità alla successiva civiltà europea? A distanza di circa quarant’anni dalla prima edizione, il saggio dedicato da Arnaldo Momigliano alla formazione della civiltà occidentale non ha perso nulla della sua esemplare originalità e forza di penetrazione, individuando, da un’angolazione storica e antropologica insieme, nodi e nessi cruciali per la comprensione globale del mondo antico.

 

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Nicola De Blasi, Francesco Montuori – Una lingua gentile. Storia e grafia del napoletano [LDB]

Poeti, scrittori, pubblicitari, parolieri, attori, commediografi avvertono l’esigenza di scrivere in napoletano. Una vigorosa tradizione letteraria fa sentire ancora oggi il suo prestigio, mentre si moltiplicano le situazioni comunicative che spingono verso la vivacità e l’informalità della lingua parlata. A questo punto sorge però il problema della scrittura: con un chiarimento sulla nozione di dialetto e con una prima informazione sulla nascita della letteratura in napoletano, questo libro offre un prontuario ortografico, presentando un dispositivo di regole, ben definite ma anche elastiche, utili come strumento di riferimento facilmente adattabile ad altri dialetti della Campania. Da questo punto di vista, alcune iniziative istituzionali avviate per la salvaguardia delle varietà locali possono sollecitare non tanto una improponibile imposizione dell’uso del dialetto “in nome della legge”, quanto una forma di conoscenza non angusta, che favorisca anche una più ampia riflessione storica e linguistica.

 

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Glenn Gould – L’ala del turbine intelligente. Scritti sulla musica [LDB]

Se c’è una leggenda musicale che è nata nei nostri anni, è quella di Glenn Gould. Questo pianista apparve fin dall’inizio nel segno di una novità radicale, che sconcertò molti e incontrò anche opposizione, finché i più si arresero all’ammirazione. Chiunque abbia ascoltato qualche incisione di Gould ha capito che qui si pretendeva una perfezione quanto mai azzardata dal suono dello strumento. Una perfezione che investe la natura dello strumento stesso, come se dietro tutta la letteratura pianistica si lasciasse intravedere la nervatura dell’idea musicale, come se un costante color «grigio ferro», un colore dietro il colore, compenetrasse il suono. Così, in quel suono, si percepisce una concezione idiosincratica, altamente complessa ed esigente, della musica. Leggendo questi scritti, che formano una vera storia della musica secondo Glenn Gould, si potrà constatare da quale rigoroso esercizio della mente e delle dita (se ricordiamo che «ascesi» significa in origine «esercizio») sia nata quella realtà che si intuisce all’ascolto. Oltre che un pianista, Gould è stato un modo inedito di pensare la musica. Ciò che Gould dice di Bach o di Schoenberg, di Richard Strauss o di Beethoven, di Wagner o di Musorgskij, di Mozart o di Boulez, è sempre di un’affilatezza e di un’acutezza che obbligano a rimettere in questione ogni volta le nostre inclinazioni, tanto che Leonard Bernstein ha definito questi scritti «una lunga serie di deliziosi e provocanti shock». Pieno di paradossi nello scrivere come nel suonare, Gould rivela in queste pagine, oltre la musica, se stesso: non solo nella memorabile autointervista che apre il volume, ma nei numerosi a parte extra-musicali, spesso caustici e irridenti, e ogni volta connessi con quell’assolutismo etico che trovava, per lui, nella musica il suo luogo di elezione. Ascoltandolo, nelle note come nelle parole, non si può non capire come sia nata la sua leggenda. Soprattutto se ricordiamo ciò che una volta Gould stesso disse a un intervistatore: «Sa, la verità è talvolta quasi leggenda».

 

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Robert Darnton – L’età dell’informazione. Una guida non convenzionale al Settecento [LDB]

Il padre della patria George Washington aveva gravi problemi di denti – tant’è che a Mount Vernon sono conservate diverse dentiere: di legno, di avorio, di zanna di tricheco o di ippopotamo. A partire da una constatazione apparentemente marginale ed eterodossa, Robert Darnton, con erudizione e gusto nel narrare, ci porta all’interno di un mondo molto più complesso e contraddittorio da come emerge dalle interpretazioni della storiografia dell’Illuminismo, in particolare quella marxista. In questo libro egli affronta quattro temi strettamente connessi fra loro: i rapporti franco-americani, la vita nella Repubblica delle Lettere, le forme di comunicazione e i modi di pensare tipici del Settecento francese. E lo fa, come al solito, rivolgendosi non agli storici di professione, bensì “al comune lettore colto”, che guida in luoghi del tutto inaspettati. Rispetto poi ai suoi libri precedenti c’è però una novità, e di un certo rilievo: questa volta Darnton intende “fornire una prospettiva storica” a quesiti, come si usa dire, di scottante attualità: “L’adozione dell’euro mette in crisi il concetto di identità europea? Internet ha creato una nuova società dell’informazione?”. Quesiti ai quali risponde in un modo che è sempre spiazzante, offrendo ai miti dell’attualità uno specchio in cui si sveleranno, appunto, come miti.

 

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Giorgio Vallortigara – Il pulcino di Kant [LDB]

Le ricerche di Giorgio Vallortigara, uno degli scienziati italiani più noti a livello internazionale per le sue indagini sui meccanismi neurali della cognizione animale, stanno ridisegnando il confine tra la biologia e il mondo astratto delle speculazioni metafisiche. Ne è un esempio questo saggio affascinante sull’imprinting e l’origine della conoscenza che vede protagonisti i pulcini, oggetto di studi sperimentali condotti per quasi trent’anni in parallelo con quelli sui neonati umani. Tali studi ci mostrano come, prima di qualsiasi esperienza specifica di apprendimento, un pulcino conosca le proprietà meccaniche degli oggetti e sappia che essi non solo occupano un determinato spazio con specifiche proprietà euclidee ma possono essere dotati di certe numerosità, che è in grado di stimare eseguendo in maniera non verbale e non simbolica le quattro operazioni dell’aritmetica. Così, fin dalla schiusa, il pulcino sa ravvisare gli indizi della presenza nel mondo di creature animate, quali un volto o la semovenza, presupposto per la costruzione di un cervello sociale. Alla luce di queste scoperte, la contrapposizione tra eredità e ambiente, natura e cultura appare irrimediabilmente datata. La mente, argomenta Vallortigara, non è una tabula rasa. L’apprendimento dall’esperienza è possibile solo se il sistema nervoso possiede in partenza una struttura atta a favorirlo. Le ricerche sui pulcini corroborano dunque la tesi delle conoscenze innate sintetizzata da Lorenz nell’espressione «l’a priori kantiano è un a posteriori filogenetico». Una sapienza di cui non siamo depositari esclusivi: condividiamo schemi di comportamento, predisposizioni, emozioni, organizzazioni neurali con creature da cui ci dividono trecento milioni di anni di evoluzione. Come i piccoli dell’uomo, anche i «pulcini di Kant» cercano la mamma. Divertono, commuovono e fanno pensare.

 

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AA.VV. – Sul banco dei cattivi. A proposito di Baricco e di altri scrittori alla moda [LDB]

«Cari critici, ho diritto a una vera stroncatura», diceva Alessandro Baricco. «Caro Baricco, io la recensisco ma lei non mi legge», rispondeva Giulio Ferroni. È nata così, sulle pagine di «Repubblica», una delle polemiche più accese che gli annali della cronaca letteraria ricordino. Allo scontro fra uno degli scrittori italiani più venduti e uno dei critici più autorevoli, seguirono fiumi di inchiostro, svariati megabytes di blog letterari, e vere e proprie risse verbali tra semplici lettori, schierati in opposte fazioni. «E che se ne può fare lei di recensioni che del resto nemmeno ha il tempo di leggere?». Poi, Ferroni ci ha ripensato: «Baricco sta scrivendo a puntate e su “Repubblica” un nuovo romanzo che è la quintessenza del “baricchismo”. Visto che ci tiene tanto ad essere recensito, perché non accontentarlo?». E perché non allargare lo sguardo – ha aggiunto l’editore – a quella nutrita pattuglia di scrittori alla moda, che aspirano tutti ad essere criticati, a patto che lo si faccia bene? E ancora: i giornali pubblicano romanzi; e se fossero i libri a pubblicare recensioni? Ecco che il cerchio si allarga: Ferroni se la prende con Baricco e la sua «profondità di superficie»; Massimo Onofri accomuna la tripletta Niffoi-De Luca-Santacroce sotto l’etichetta del «sublime basso»; Filippo La Porta indaga sulle scarse nobiltà e le molte miserie del Nuovo Giallo Italiano; e Alfonso Berardinelli polemizza con Tiziano Scarpa: «che cos’è questo imperativo sociale che costringe tutti ad esibire tutto? Non sarà che il pudore è più sorprendente, antisociale e trasgressivo dell’esibizione?». Sul banco dei cattivi…

 

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Massimo Onofri – Recensire. Istruzioni per l’uso [LDB]

«Che cos’è la recensione? È un genere letterario specifico, rigorosamente definibile?O non è, piuttosto, una modalità del pensiero e della scrittura, tale da poter coincidere con la critica letteraria?». Dopo l’analisi delle condizioni e dello statuto della critica militante, Massimo Onofri torna impavido su un terreno da sempre scivoloso e decide di farci entrare nell’atelier del critico in carne e ossa, all’opera nel mentre si serve degli strumenti e dei trucchi del mestiere. Attraverso una ricca e significativa rassegna di casi particolarmente felici o infelici di recensioni celebri a libri celebri,Onofri si chiede in sostanza: che cosa si fa, insomma, quando si scrive una recensione? Il critico, convinto com’è che ogni articolo serbi in sé il rimpianto di tutti quelli che non si sono scritti al suo posto, se lo chiede, ben sapendo che il recensire non è un atto sbrigativamente riducibile alla pratica giornalistica, ma rivela, in profondità, la verità dell’atto critico in quanto tale, se è vero che il critico è, innanzitutto, un lettore che scrive e si dà ragione della sua esperienza. Su tali premesse, il libro offre anche un ampio campionario di exempla, divisi idealmente in tre tipologie: come si debba recensire; come assolutamente non si debba; e le stroncature memorabili. Mai reticente, ma sempre chiamando tutti per nome e inchiodando ogni critico alle proprie personali responsabilità,Onofri si mostra qui nella sua più smagliante versione «militante». Molti, nel leggere questo libro, si divertiranno. Alcuni, viceversa, si irriteranno assai…

 

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