Andrea Colombo – I maledetti. Dalla parte sbagliata della storia

Sedici ritratti di uomini e donne del mondo della cultura che hanno deciso, fra gli anni ’20 e ’30 del ‘900, di schierarsi dalla parte del nazifascismo. Dai poemi di propaganda di Marinetti ai radiodiscorsi di Pound, dai murales fascisti di Sironi ai film hitleriani della Riefenstahl, dai pamphlet antisemiti di Celine alla fascinazione per il Führer di Hamsun, dal nazismo conformistico di Heidegger al nichilismo nazional-legionario di Cioran, dal darwinismo ariano del giovane Lorenz al nazionalismo mistico di Eliade, le vicende, le illusioni, i drammi degli intellettuali che hanno scelto di stare dalla parte sbagliata.

Lytton Strachey – Eminenti vittoriani

Eminenti vittoriani

Il primo dovere di un biografo, sostiene Lytton Strachey, è senza dubbio conquistare e mantenere la giusta misura, sbarazzandosi del superfluo e dell’insignificante, per focalizzare solo quel che è degno di nota. Del resto, una narrazione meticolosa non necessariamente restituisce il senso delle cose, anzi, il modo migliore per cogliere il carattere di un’epoca è accostarsi lungo traiettorie inattese e guardarla da prospettive inusuali, ovvero piombarle sul fianco e attaccarla alle spalle. Così, Strachey condensa tutta la complessità e l’ambiguità dell’età vittoriana nei ritratti di quattro cittadini di Sua Maestà: Henry Edward Manning, cardinale anglicano avvicinatosi alla Chiesa di Roma; Florence Nightingale, fondatrice della moderna assistenza infermieristica; Thomas Arnold, riformatore della public school inglese; e Charles George Gordon, generale dell’Impero britannico. Si tratta di personaggi atipici, perché apparentemente di secondo piano, che Strachey scopre in realtà emblematici. Alternando l’ironia e la grazia, l’autore riporta i nudi fatti, spassionatamente e senza secondi fini; senza necessità di adulare o romanzare, Strachey riesce nel suo proposito di «illustrare piuttosto che spiegare» un’epoca eccezionale.

Geminello Alvi – Eccentrici

Eccentrici

Occhialuti alchimisti rovinati dall’assenzio, lottatori che combattono contro le tigri a pugni nudi e si convertono poi all’ascetismo per soggiogare ben altre belve, temerari aeronauti che atterrano sul tetto dei grandi magazzini di Parigi, generali cosacchi buddhisti, digiunatrici poliglotte, trasvolatori infelici, inventori di cannoni eterici, pittori monocromi devoti a Santa Rita. Da Cary Grant a Lovecraft, da Salgari a Pancho Villa e a Buster Keaton, i quarantadue personaggi raccontati da Alvi sono stravaganti e folli, certo, ma soprattutto sono uomini e donne che fremono per l’ansia di inseguire la vita e vi si perdono, mostrandone l’infinita varietà e potenza.

Emil Cioran – Esercizi di Ammirazione. Saggi e ritratti

coverCioran ha sempre amato i grandi ritrattisti francesi, da Saint-Simon a Tocqueville. E in questo libro ha mostrato come continuare, per vie impreviste e oblique, la loro arte. Qui troveremo ritratti di Beckett e di Borges, di Michaux e di Fitzgerald che subito toccano l’essenziale e ci restituiscono un’immagine di questi scrittori che non riusciremo mai a cancellare. L’ammirazione va talvolta insieme a una lunga schermaglia con l’autore di cui Cioran parla, visibile soprattutto nei saggi su Joseph de Maistre e Paul Valéry. Testi estremi l’uno e l’altro: il primo perché dedicato al «più appassionato e più intollerante fra i pensatori», il secondo perché mosso da una «esasperazione impura» che accende tutti i possibili contrasti. Fuori da questo eccesso di nettezza, anzi dall’interno di una ominosa penombra, ci viene incontro invece il ritratto di una donna incontrata soltanto due volte, vera «creatura della luce lunare». E ovunque avvertiremo, nella vibrazione di questa prosa, la «superba vertigine» dello scrittore.

Consiglio a cura di C.Congia.

John Aubrey – Vite brevi di uomini eminenti [Epub – Mobi]

coverLa vita di ogni persona manifesta una singolarità irriducibile, una cifra, un sapore, un profilo unici, che la storia poi si incarica o di cancellare o di attenuare e riassorbire. John Aubrey, dilettante e ‘virtuoso’ (nel senso seicentesco di ricercatore di ogni «curiosità della Natura e dell’Arte»), amico di Locke e di Newton, di Thomas Browne e di Hobbes, di Robert Boyle e di John Evelyn, ebbe in grado supremo la qualità appunto di saper nominare il particolare, l’aneddoto individuante e un’innata sapienza nell’evocare il tono, il gesto, la fisiologia della vita. E questo non come risultato di ponderati artifici, ma quasi come risonanza di un incessante chiacchiericcio, capricciosamente trascritto. Come in Saint-Simon, come in Proust, l’occhio e l’orecchio di Aubrey erano sempre in agguato, captavano, filtravano e utilizzavano tutto. Così, in modo irriflessivo, tumultuoso e vorace, Aubrey passò la vita ad annotare, instancabile, particolari e tratti notevoli di ciò che incontrava o gli veniva raccontato o scopriva. Una parte di questi appunti, stesi in una sorta di scrittura stenografica, che dà al suo stile una stupefacente modernità, è dedicata alle vite di uomini, per qualche ragione illustri, del passato (e vi troveremo Shakespeare ed Erasmo, accanto a nobili inglesi caduti poi nell’oblio) o suoi contemporanei (e vi troveremo quasi tutti i protagonisti intellettuali di quel secolo di genio prorompente che fu il Seicento inglese, accanto a personaggi frivoli o irrecuperabilmente dimenticati) – ed essa forma quella raccolta di Vite brevi, qui presentate per la prima volta in italiano nella felicissima versione di J. Rodolfo Wilcock, che hanno fatto di Aubrey quasi l’eroe fondatore di ogni possibile arte della biografia. La rapidità, la violenta e spesso involontaria comicità, l’impudenza e il taglio colloquiale del racconto, la capacità di sconcertare con la pura accumulazione di elementi imprevisti (Shakespeare come garzone di macellaio che «ogni volta che uccideva un vitello lo faceva in stile grandioso e pronunciava un discorso», Hobbes che si preoccupa di impedire alle mosche di posarsi sulla sua calvizie – e centinaia di altri) fanno sì che queste pagine, presentate da Aubrey stesso come «relitti di un naufragio» – il perpetuo naufragio del Tempo –, esercitino un fascino invincibile sul lettore di oggi, che legge queste vite come altrettanti romanzi in miniatura e al tempo stesso ha l’impressione di ascoltare una conversazione incantevole e sfrontata o di frugare fra crudi documenti di archivio. Qui il biografo diventa quasi un pettegolo negromante ovvero, come scriveva Marcel Schwob a proposito di Aubrey, «una divinità inferiore», che «sa scegliere, fra i possibili umani, quello che è unico». E Aubrey doveva ben presagirlo, se scrisse che «il riscattare queste cose dimenticate dall’oblio in certo modo somiglia all’arte di un mago, il quale fa camminare e apparire coloro che per centinaia di anni hanno giaciuto nella loro tomba, sì da ricondurre per così dire dinanzi agli occhi i luoghi, i costumi e le mode dei tempi passati».