Fin dai primi decenni dell’era cristiana l’aspetto più inquietante della figura di Giuda è, al di là del suo tradimento, l’inadeguatezza della sua scelta economica: che tipo d’uomo poteva essere colui che aveva scambiato l’infinito valore del Cristo per la misera somma di trenta denari? Giuda diventa così il prototipo negativo di chi non sa riconoscere il vero valore delle cose, e, in particolare, di chi non riesce a comprendere le regole del mercato e dell’economia così come si sono venute assestando tra medioevo ed età moderna. Di contro, la figura della Maddalena, che “sperpera” i suoi beni per onorare il Signore, diventa emblematica dell’agire economico lungimirante e istituzionalmente corretto. Le conseguenze di questa contrapposizione si riflettono – come illustra il libro – nel codice di esclusione sociale che caratterizza la modernizzazione economica europea e alimenta lo stigma della gente comune di cui Giuda rappresenta la maschera.
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Immanuel Wallerstein – Il Capitalismo storico
In tempi di insistita esaltazione delle virtu «spontanee» del mercato e di reiterate esortazioni a liberare lo sviluppo delle società capitalistiche da ogni forma di «vincolo» che ne impedisca la piena espansione, può forse sembrare estraneo allo spirito dell’epoca, o persino stravagante, sostenere che il capitalismo è un sistema storico, e cioè dotato, come tutti gli oggetti storici, di un percorso nel tempo e nello spazio, di una vita che lo ha portato a nascere, svilupparsi e modificarsi, e che lo porterà verosimilmente — in una qualche forma, in un qualche momento — anche a morire, cioè ad essere sostituito da qualcos’altro che lo seguirà. Questo di Immanuel Wallerstein è davvero un libro controcorrente, e non soltanto perché unisce in modo esplicito e senza infingimenti l’analisi dello storico a una forte tensione morale. L’autore ripercorre la storia di questo universo spazio-temporale, di questo «sistema-mondo» che è stato ed è il capitalismo, considerando anche le ingenuità e gli errori di coloro che hanno cercato di analizzare il sistema con atteggiamento critico. Ai caratteri distintivi di questa economia-mondo, che ne hanno segnato la lunga storia, dal secolo XVI fino a oggi — la mercificazione generalizzata, la crescente ma non univoca proletarizzazione del lavoro, la sempre maggiore unificazione dei mercati, la costituzione di una rigorosa gerarchia degli spazi economici — si accompagnano i tratti politiche ideologici del sistema: l’articolazione delle etnie, delle nazionalità e degli stati; la dinamica delle lotte politiche e sociali, a base classista o infra-capitalistica; la nascita e lo sviluppo dei movimenti antisistemici, nella duplice versione socialista e nazionalistica; la crescita e la funzione dei grandi aggregati di sostegno ideologico, dal zismo, all’universalismo, al mito del progresso. Sostenuto da un vastissimo retroterra di conoscenze analitiche, l’autore va accumulando nei suoi lavori sul Sistema mondiale della economia moderna, il ragionamento è qui sviluppato su un registro di estrema sintesi. Lo stesso linguaggio, di una densità voluta e ricercata testimonia lo sforzo di abbracciare con un unico sguardo una realtà storica così multiforme e complessa.
Robert B. Reich – Supercapitalismo
Negli ultimi decenni l’economia mondiale ha avuto un nuovo comandamento: globalizzare. Produrre in ogni angolo della terra al minor costo possibile e utilizzare i vantaggi offerti dalla rete per estendere al massimo il proprio mercato. Ma questo modello di business si sta evolvendo in una forma ulteriore: il supercapitalismo. Ancora più potente, ancora più pervasivo di quanto non fosse già la globalizzazione. Di conseguenza, i diritti garantiti dalla democrazia si stanno indebolendo progressivamente proprio a causa delle pressioni esercitate dal nuovo sistema economico. E il crescente dislivello fra reddito e potere d’acquisto, la precarietà lavorativa in aumento e gli effetti ad ampio raggio del surriscaldamento del pianeta sono le naturali conseguenze di tale processo. «La scomoda verità», sostiene l’autore, «è che la maggior parte di noi ha due menti. Come consumatori e investitori puntiamo a fare grandi affari. Come cittadini disapproviamo le molte conseguenze sociali che ne derivano». Reich – economista di stampo liberal e già segretario del Lavoro durante la presidenza di Clinton – propone in alternativa un capitalismo forte ed energico, ma che non pregiudichi l’esercizio dei diritti primari. Per realizzarlo, tuttavia, dobbiamo rinunciare all’illusione che le corporation agiscano in base a principi di responsabilità sociale d’impresa e rifiutare quella doppia morale che ci fa desiderare beni a basso costo senza preoccuparci del prezzo da pagare per la collettività.
Paolo Leon – Il capitalismo e lo stato
Il sistema capitalistico è riuscito a risollevarsi dalla caduta del 2007, ma è ancora molto lontano dal superarne le conseguenze. Eppure, né il pensiero economico dominante né i governi hanno abbandonato i princìpi, le teorie e le azioni che avevano caratterizzato, per quasi un trentennio, il periodo precedente la crisi. Nessuno studioso ha ancora spiegato perché sia così difficile abbandonare le idee del passato, pur nell’evidenza del loro fallimento; e i cambiamenti oggi introdotti nelle politiche economiche sono figli più del pragmatismo che di un pensiero compiuto. Paolo Leon, tra i maggiori economisti contemporanei di scuola keynesiana, affronta le trasformazioni del capitalismo – dal modello rooseveltiano, che mira al profitto, a quello orientato invece all’accumulazione delle riforme conservatrici di Reagan e della Thatcher – e analizza i rapporti tra il capitalismo e lo Stato in una prospettiva macroeconomica. L’obiettivo, quanto mai necessario e finalmente possibile dopo decenni di oscuramento teorico, è ritrovare un’ampiezza di visione che permetta di leggere le azioni economiche nella loro complessità e relazione, ponendo le basi anche per la previsione delle loro conseguenze.
Yanis Varoufakis – Il minotauro globale. L’America, le vere origini della crisi e il futuro dell’economia globale
Nell’America post-bellica gli Stati Uniti distrussero la realtà preesistente non una bensì due volte, per crearne di nuove. La prima volta non avevano altra scelta. La Seconda guerra mondiale aveva imposto all’America il ruolo di ideatore di realtà, sia pure contro la sua volontà. Ed essi risposero brillantemente, con un Piano globale che diede avvio alla stagione più felice del capitalismo globale. Quando poi il Piano globale ebbe raggiunto la sua data di scadenza, gli Stati Uniti non persero più tempo a tergiversare o a “studiare” la realtà esistente. Piuttosto, cercarono attivamente di disintegrare la realtà che stava già degenerando, in modo da provocare una decisiva crisi mondiale da cui sarebbe uscita una realtà ben più nuova e vitalissima: “Minotauro globale”. Per la seconda volta nella sua storia, l’America aveva ridisegnato il mondo non tanto a propria immagine e somiglianza, bensì in un modo che aveva trasformato una strisciante debolezza in una maestosa egemonia. La chiave del successo dell’America fu il riconoscimento dell’indispensabilità di un meccanismo di riciclo delle eccedenze globali (GSRM). L’egemonia differisce dal dominio, o dal volgare sfruttamento, in quanto il vero egemone capisce che il suo potere deve essere rialimentato non mediante l’ulteriore prelievo dai suoi sudditi, bensì dall’investimento nelle loro capacità per generare eccedenze. Per togliere ai suoi sudditi, l’egemone deve padroneggiare l’arte di dare in cambio…
Robert e Edward Skidelsky – Quanto è abbastanza. Di quanto denaro abbiamo davvero bisogno per essere felici (meno di quello che pensi)
Che cosa intendiamo per “vita buona”? Quali e quantibeni devono esserci garantiti per poterla vivere?Queste domande nascono dalla generale incertezzasul futuro e dalla quotidiana difficoltà nel soddisfarebisogni in continua espansione, in un’epoca in cui ilcapitalismo economico-finanziario inizia a mostraretutte le sue contraddizioni: da un lato il culto del profittoe della ricchezza come valori universali, dall’altrola creazione, all’interno delle stesse società industrializzate,di enormi disparità di reddito e di sacchedi povertà mai conosciute prima.Robert Skidelsky, autorevole economista, e suo figlioEdward, docente di filosofia, riprendono la celebreprevisione di Keynes, rimasta irrealizzata, secondola quale in Occidente, all’inizio del Terzo millennio,avremmo avuto “abbastanza” per soddisfare tutte lenostre necessità lavorando non più di tre ore al giorno,e la utilizzano come spunto di riflessione per capirel’origine del nostro malcontento e trovarne il rimedio.Lo smisurato ampliamento della sfera dei bisogni,l’aumento delle ore di lavoro a scapito del tempo liberoe il conseguente abbassamento della qualità dellavita impongono un profondo cambiamento di prospettiva:non dobbiamo più chiederci che cosa serveper raggiungere il benessere, ma che cosa sia davveroil nostro bene. Attingendo alle lezioni della sociologia(da Weber a Veblen), al pensiero filosofico (Aristotelein particolare) e alle più intuitive teorie economiche(da Kaldor a Frank), gli autori mostrano come laricchezza non sia, e non debba essere, un fine in sé,bensì un semplice mezzo per vivere una vita buona, etratteggiano possibili forme di organizzazione socialeed economica diverse dall’attuale.
Guido Carandini – Il secolo curvo della civiltà capitalista 1914-2014
Un denso e coinvolgente racconto della storia della civiltà capitalista nel periodo 1914- 2014, cioè fra la Grande Guerra e la Seconda Grande Depressione, nella quale stiamo ancora vivendo. Carandini compie un’analisi critica dei principali avvenimenti degli ultimi cent’anni, un’analisi non astratta, che non si pone in un luogo privilegiato della speculazione per guardare la realtà dall’esterno del mondo stesso, come spesso accade negli approcci puramente accademici. Al contrario, lo storico si immerge nel corso degli eventi, ripercorrendone minuziosamente l’evolversi storico, per contrastare il ritorno del pensiero metafisico nelle ideologie neoliberiste. Basti guardare alle teorie e alle politiche incentrate sul «pareggio di bilancio» e applicate alla recessione e alla disoccupazione di massa che sta affliggendo l’Occidente. Il fallimento di queste politiche, che si sono ripetute in tutte le fasi critiche della civiltà capitalista, ne dimostra l’inadeguatezza e la necessità di un’analisi che le collochi finalmente all’interno di un quadro storico ben delineato in tutte le componenti sociali e umane, al di fuori di una prospettiva esclusivamente economico-finanziaria.
Paul Bairoch – Economia e storia mondiale. Miti e paradossi
L’autore esamina alcuni miti dell’economia ribaltando convinzioni radicate e diffuse sul ritmo della crescita economica nell’Ottocento, sul colonialismo, in rapporto sia con la rivoluzione industriale in Europa sia con l’arretratezza del terzo Mondo.
Luigi Cavallaro – A cosa serve l’articolo 18
Ma davvero l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori rappresenta il problema principale della nostra economia? Davvero è responsabile del dualismo del nostro mercato del lavoro? Davvero è l’artefice della disoccupazione e della precarietà che affliggono i nostri giovani? E davvero bisogna sbarazzarsene, come ci raccomandano professori autorevoli e opinionisti di grido? Scopo di questo libro è di offrire alcune risposte non convenzionali a queste domande, inquadrando la vicenda dell’articolo 18 in una storia più ampia e fin qui mai raccontata: la storia del diritto al lavoro. In un linguaggio semplice e rigoroso, le ragioni economiche e politiche a sostegno dell’art. 18 e una critica serrata delle proposte di riforma volte alla sua soppressione o comunque a derogarvi per un certo periodo di tempo o per particolari categorie di lavoratori.
Luciano Gallino – L’impresa irresponsabile
Condizioni di lavoro, prezzi, trasporti e media, ambiente, tempo libero, alimentazione, forme di risparmio e rischi connessi, organizzazione della famiglia, la possibilità stessa di progettarsi un’esistenza. Piaccia o no dipendono tutte da decisioni che provengono, piú che dal governo della nazione, dal governo delle imprese. Tuttavia queste ultime non paiono tener sempre conto delle conseguenze sulle nostre vite delle loro attività. Da tempo si insiste, su scala internazionale, affinché le imprese agiscano in modo socialmente piú responsabile su base volontaria. Ma teoria e pratica della «responsabilità sociale dell’impresa» diverranno comuni soltanto quando un’apposita riforma del governo dell’impresa le inserirá tra i suoi principî costitutivi.