Considerato da non pochi dei suoi contemporanei come un “democratico radicale “, Kant è stato in seguito stilizzato da una radicata e composita tradizione interpretativa a teorico dell’obbedienza all’autorità costituita, e questo a causa della sua negazione del diritto di resistenza. Punto di partenza della presente ricerca è proprio tale negazione: essa, mentre rassicurava le corti tedesche, al tempo stesso permetteva di affermare l’irreversibilità della Rivoluzione francese. Emerge qui con chiarezza la ricercata “ambiguità “, la ” doppiezza” di Kant, costretto ad un logorante esercizio di autocensura, ad una continua dissimulazione, tormentosa anche sul piano morale, per sfuggire al controllo delle autorità di censura e del potere politico. In questo quadro si procede ad una rilettura del pensiero politico di Kant; che, se è sufficientemente noto il difficile rapporto del filosofo con la censura, non sembra sia stata finora indagata la connessione tra “persecuzione e arte dello scrivere”; ma forse è solo questa indagine che può permetterci di sbarazzarci dell’oleografia tradizionale, per collocare Kant in una luce nuova, più umanamente drammatica e inquietante.
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Günther Anders – Amare, ieri. Appunti sulla storia della sensibilità
Queste annotazioni raccolte negli anni tra il 1947 e il 1949, sono un esempio magistrale di quella che l’autore ha definito “filosofia d’occasione”, pensiero critico che prende spunto da una trama solo apparentemente privata.
Günther Anders – Discesa all’Ade. Auschwitz e Breslavia, 1966
Nel luglio 1966 Gunther Anders, in compagnia della terza moglie Charlotte Zelka, raggiunge la Polonia. I luoghi visitati dovrebbero stare sotto segni opposti: l’orrore innominabile di Auschwitz, a cui l’ebreo Anders e scampato perché esule negli Stati Uniti, che cosa ha da spartire con il paesaggio affettivo di Breslavia, la città della Slesia che lo vide nascere e andarsene con la famiglia appena adolescente, quando ancora il suo cognome era Stern? Nessun idillio della memoria conforterà il sopravvissuto Anders-Stern nella “Heimat”, sconvolta per sempre dalla dismisura di ciò che accadde. Ad attenderlo, solo lo spaesamento e il mondo tellurico delle ombre, dove l’appartenenza assume l’aspetto inquietante dell’estraneità. “Cio che spaventa non e quello che non c’è più, non il vuoto, ma al contrario le cose che, casualmente, continuano a esserci nel vuoto che in realtà ci aspettiamo.” Un pellegrinaggio infero tra unicità del ricordo individuale e grande storia, dove ancora una volta l’acutissimo sguardo di Anders mette a nudo la modernità in disfacimento.
Günther Anders – Diario di Hiroshima e Nagasaki. Un racconto, un testamento intellettuale
Gunther Anders è stato uno dei fondatori più di spessore del movimento antinucleare mondiale. In questo libro, mentre racconta l’orrore degli effetti delle due bombe, Anders dà anche la profondità della sua posizione. L’atomica è l’abominio dell’uomo che usa la tecnica per annullare il futuro d’intere nazioni. Contro questo strapotere usato male, la via di salvezza non è un naturalismo naif, ma la capacità di restare umani. Per questo ieri, come oggi, ci vuole intelligenza e sapere e lo scatto di libertà che ci fa sentire parte di un’umanità.
Günther Anders – La coscienza al bando. Il carteggio del pilota di Hiroshima Claude Eatherley e di Günther Anders
Il caso di Claude Eatherly non è solo un caso di ingiustizia enorme e prolungata ai danni di un individuo, ma è anche simbolico della follia suicida dei nostri tempi. Nessuno che sia privo di pregiudizi, dopo aver letto le lettere di Eatherly, può onestamente dubitare della sua salute mentale, e stento a credere che i dottori che lo dichiararono pazzo fossero convinti dell’esattezza di quella diagnosi. Egli è stato punito solo per essersi pentito della sua partecipazione relativamente innocente a una folle azione di sterminio. I passi che egli compi per ridestare la coscienza degli uomini alla nostra follia attuale non furono sempre, forse, i più saggi, ma furono compiuti per motivi che meritano l’ammirazione di chiunque sia capace di sentire umanamente. Il mondo era pronto ad onorarlo per la sua partecipazione al massacro, ma, quando si penti, si rivolse contro di lui, vedendo nel suo pentimento la propria condanna. Spero sinceramente che, dopo la campagna che è stata fatta, le autorità possano indursi ad adottare una più giusta valutazione del suo caso e a fare quello che possono per riparare i torti che gli sono stati inflitti.
BERTRAND RUSSELL
Günther Anders – Dopo «Holocaust», 1979
Nel gennaio 1979 un fremito di orrore e vergogna sconvolse venti milioni di tedeschi. A innescare un tale sussulto morale collettivo, di una radicalità mai registrata dalla fine della guerra, fu una miniserie televisiva di produzione americana, Holocaust, con James Woods e Meryl Streep. Una narrazione cinematografica piuttosto convenzionale aveva trovato il varco emotivo per raggiungere una zona opaca della coscienza nazionale, rimasta inerte per decenni, inaccessibile nonostante la schiacciante massa documentale sulla Shoah. Tra le innumerevoli prese di posizione, gli interventi, le riflessioni che dilagarono nel discorso pubblico si segnalano come vere folgorazioni queste note diaristiche di Günther Anders. I suoi lampi di pensiero rischiarano ciò che allora nessuno realizzò con altrettanta acutezza: per entrare nel campo visivo di un intero popolo, la rappresentazione dello sterminio andò «rimpicciolita» a misura percettiva umana. Solo così, attraverso i protagonisti di un modesto film, riacquistarono fattezze di individui le vittime di un crimine oscurato dalla propria smisurata contabilità. E solo così per i tedeschi fu possibile spezzare quel paradigma della non-colpa che li aveva esonerati dal rimorso. «Grazie a Dio, ora si disperano, finalmente si disperano … hanno trovato la fermezza di guardare in faccia, per ore e ore, l’indicibile».
Lev Šestov – Atene e Gerusalemme (solo testo italiano)
Pubblicato in edizione francese (1938), e postumo in edizione russa (1951), Atene e Gerusalemme condensa il frutto dell’intero itinerario filosofico dell’ebreo russo Lev Sestov (Kiev 1866 – Parigi 1938). L’analisi della questione del “sapere come problema” e “il rapporto tra il sapere e il male nel mondo” è l’obiettivo essenziale del libro, in cui l’autore disegna un percorso che va dalla filosofia alla religione interrogandosi sulle pretese della prima a esaurire il dominio della verità. Con testo francese e russo.
Grazie a etterete per il consiglio di partenza.
Fredric Jameson – Postmodernismo. Ovvero la logica culturale del tardo capitalismo
Esce finalmente anche in Italia il saggio più venerato, odiato, discusso, citato e frainteso degli ultimi quindici anni. L’indubbio capolavoro di uno degli intellettuali più acuti e irriverenti della nostra epoca. Nelle sue varianti terminologiche e concettuali (postmoderno, postmodernismo, postmodernità), è probabilmente la categoria critica più abusata e discussa degli ultimi trent’anni, in ambiti diversi come la filosofia, la storiografia, la teoria politica, la riflessione sull’arte, l’architettura, la letteratura, la musica, il cinema. E questo di Jameson non è soltanto uno dei tanti saggi dedicati all’argomento, è il libro sul postmodernismo: punto di riferimento (e bersaglio polemico) di chi si è voluto cimentare nell’insidioso campo della teoria critica dopo la cosiddetta fine delle ideologie. Lanciandosi nell’analisi di un fenomeno a prima vista puramente culturale, Jameson campiona e rifonde con un piglio enciclopedico – quasi a stilare l’inventario di un’intera epoca – elementi della cultura di massa e di quella d’élite: Velluto blu di David Lynch e la casa di Frank Gehry, Philip Dick e la videoarte, mtv e il nouveau roman. Se ne deduce che la cultura, intesa in senso allargato, ha ormai invaso l’intero campo dell’esperienza umana. Ma, forte di una solida formazione marxista, alla base della sua indagine rimane la sfera politico-economica: quella nozione di tardo capitalismo che costituisce la chiave di volta del suo intero edificio teorico. Jameson prosegue dunque ostinatamente alla ricerca di nuove vie per la sinistra, non rassegnato di fronte alla resa di molti dei suoi esponenti alla logica del mercato, ma convinto dell’applicabilità del pensiero marxista anche nel mondo di oggi. Anzi, come ribadisce nella prefazione scritta appositamente per l’edizione italiana, la postmodernità tardo-capitalistica è l’unica cornice teorica all’interno della quale ripensare la dimensione politica, sociale e culturale della globalizzazione.
Jean-François Lyotard – La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere
In questo libro l’autore, chiude i conti con la tradizione storico-filosofica del pensiero classico. Una tradizione che aveva segnato con forza, nel bene e nel male, la storia del Novecento. Non più quindi sistemi filosofici e grandi narrazioni basate sull’eredità dell’Illuminismo e sui grandi sistemi emancipativi, in primis l’hegelismo e il marxismo, ma comprensione piena e accettazione di un nuovo modello di pensiero che identifica una nuova idea di modernità, basata essenzialmente sulla rottura netta con il passato: il “postmodernismo” per l’appunto. Questa espressione del filosofo francese diventa immediatamente usatissima in tutto il dibattito culturale. Nel cambiamento epocale di paradigma Lyotard identifica un fattore principale di trasformazione: il sorgere e il cambiamento di senso dell’apparato di pensiero tecno-scientifico, e con esso l’avanzare impetuoso delle nuove tecnologie, in grado di diventare vere e proprie protesi di linguaggio, cioè modi del pensiero dalla struttura innovativa. Lyotard non intende solo valorizzare la tecnoscienza, ma soprattutto porre con pari dignità tutti i linguaggi allo stesso livello, senza più individuare una modalità di pensiero “superiore” alle altre.