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Il ruolo delle formiche nella biosfera – ci dice Edward Wilson, il più grande entomologo vivente – è così importante che l’umanità forse non potrebbe sopravvivere senza di esse. E di certo non potrebbe sopravvivere senza batteri e archei, l’invisibile e onnipresente «materia oscura» dell’universo vivente della Terra. Ma l’umanità è ancora troppo concentrata su se stessa e sui propri bisogni, e sta distruggendo la natura con la forza di un meteorite. Entro la fine del secolo, metà di tutte le specie potrebbero essere definitivamente uscite di scena, e avrebbe allora inizio l’Era dell’Eremozoico – l’Età della solitudine. I costi materiali e spirituali per le generazioni future rischierebbero di essere sbalorditivi, ma a scongiurare tutto questo non bastano mere considerazioni utilitaristiche. Per risultare realmente efficace, la strategia di conservazione deve ispirarsi alla nostra innata «biofilia», tendenza che permane in noi, seppure atrofizzata: «Abbiamo bisogno della libertà di vagabondare nella terra che non è di nessuno e che è protetta da tutti, il cui immutato orizzonte è lo stesso che segnava i confini del mondo dei nostri ancestrali antenati». La battaglia per la difesa dell’ambiente è spesso poco più di un kit ideologico; ma qui a condurla è uno scienziato del calibro di Wilson, capace di inesorabili affondi: la messa a fuoco dell’idea di natura; il ridimensionamento dell’uomo a specie tra le specie; l’applicazione del concetto di ‘alieno’ alla stessa attività umana; l’individuazione di specie invasive o nocive causa di estinzione per le altre; l’affermazione della discrasia adattativa fra l’individuo e un ambiente che muta troppo rapidamente. Uno scienziato, per di più, che per la sua appassionata perorazione ha scelto la singolare forma di una lettera indirizzata a un immaginario pastore battista: non potremo allora, come ha scritto Oliver Sacks, «non sentirci tutti coinvolti».