Manuel Puig – Una frase, un rigo appena

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Molto letto e molto amato, in Italia oltre che nei numerosi paesi in cui è stato tradotto, questo romanzo di Manuel Puig ritorna nella nuova traduzione di Angelo Morino, attenta nel restituirne colori e sfumature. Vi si racconta una storia popolata da personaggi prelevati dalla quotidianità di un paese della pampa argentina, sullo sfondo degli anni Trenta. C’è un impenitente vitellone di provincia segnato dal marchio fatale della tisi, il cui unico pregio è di essere bello come un divo del cinema, e ci sono le molte donne che — rapite dalla sua maschia avvenenza – gli si muovono intorno: la fidanzata, le amanti segrete, la madre, la sorella. Tutta un’umanità femminile che professa di credere nella vita organizzata secondo i più canonici modelli del romanzo rosa che si sforza per agire ricalcando suggestioni tratte dai più fascinosi film dell’epoca e dalle più appassionate canzoni dal ritmo di tango e di bolero, e che vuole chiudere gli occhi sulla povertà della propria esistenza costretta ai margini, lì dove nessun film, nessuna canzone può replicarsi fedelmente. Ed è così che il romanzo rosa finisce per rivelarsi un romanzo nero, perche: — a forza di rancori più o meno segreti, meschinità impietose, gelosie covate in silenzio, intrighi casalinghi – anche un delitto trova spazio per esplodere. Dimostrandosi abilissimo costruttore di intrecci senza immediata appariscenza, Manuel Puig articola la sua vicenda come se fosse un riflesso della realtà, fingendo di limitarsi a raccogliere scarti accumulati sul filo del vivere – lettere, album di fotografie, rapporti di polizia – e a riempire i vuoti fra gli uni e gli altri con descrizioni impassibili o con dialoghi registrati da un orecchio imperturbabile. In questo modo, ha posto sulla pagina un mondo che, se riproduce con esattezza quello della provincia argentina, rivela di possedere tratti che non c’è bisogno di varcare un oceano per trovare corrispondenze più vicine.