Simone Weil – Lettera a un religioso

Lettera a un religioso

«Quando leggo il catechismo del Concilio di Trento, mi sembra di non aver nulla in comune con la religione che vi è esposta. Quando leggo il Nuovo Testamento, i mistici, la liturgia, quando vedo celebrare la messa, sento con una specie di certezza che questa fede è la mia, o più precisamente lo sarebbe senza la distanza che la mia imperfezione pone tra essa e me». Giunta agli ultimi anni della sua vita, Simone Weil volle esporre in una lunga lettera al padre Marie-Alain Couturier i propri convincimenti, per verificarne la compatibilità «con l’appartenenza alla Chiesa». La risposta non arrivò mai, e la Weil rimase fino all’ultimo fedele alla sua «vocazione di essere cristiana al di fuori della Chiesa». Ciò non deve meravigliare: le tesi qui proposte, nella loro cristallina, categorica chiarezza, sono in realtà una sfida alla Chiesa – forse la più alta fra le molte che ha conosciuto in questo secolo. E innanzitutto una sfida alla pretesa ecclesiale di offrire la verità ultima, rispetto alla quale ogni altra è una rudimentale prefigurazione. Non così per la Weil, che trovava in Platone, nella “Bhagavad Gita” o nel “Tao tê ching” le stesse verità, compiutamente espresse, che incontrava nei Vangeli. «Ogniqualvolta un uomo ha invocato con cuore puro Osiride, Dioniso, Krsna, Buddha, il Tao, ecc., il figlio di Dio ha risposto inviandogli lo Spirito Santo. E lo Spirito ha agito sulla sua anima, non inducendolo ad abbandonare la sua tradizione religiosa, ma dandogli la luce – e nel migliore dei casi la pienezza della luce – all’interno di tale tradizione».

Simone Weil – Attesa di Dio

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«Simone Weil ha convertito molti non cattolici, ha deconvertito molti cattolici»: è sufficiente questa affermazione di un eminente teologo per testimoniare quale rivoluzionario valore abbia assunto, nel Novecento, un pensiero che si dipana in una piccola costellazione di «libri duri e puri come diamanti, dal lento ritmo incantatorio, dal francese sublime» (secondo le parole di Cristina Campo). Una costellazione al centro della quale si colloca Attesa di Dio, raccolta di scritti – composti fra l’autunno del 1941 e la primavera del 1942 – apparsa postuma nel 1949 per le cure di Joseph-Marie Perrin, l’affabile padre domenicano che fu amico, confidente e destinatario delle sei lettere che, dettate da un ineludibile «bisogno di verità», costituiscono parte essenziale dell’opera. Ponendosi sulla soglia di una Chiesa che ha svilito la verità a linguaggio normativo, e rimanendo «in attesa» nel punto d’intersezione fra cristianesimo e tutto ciò che non lo è, Simone Weil esprime, attraverso «un esempio concreto e certo di fede implicita», l’urgenza di una nuova forma di religione e di una radicale trasformazione dell’anima. E ancora oggi non si esce illesi dalla lettura di pagine fra le più alte che nel secolo scorso siano apparse.

Simone Weil – La rivelazione greca

coverL’incontro tra Simone Weil e alcuni testi della Grecia antica – innanzitutto l’Iliade, Platone, i Pitagorici e i tragici – ha segnato uno dei picchi del secolo scorso. Nulla di quanto la luce della sua mente ha raggiunto è rimasto immutato. In particolare i Vangeli, come se la via regale per capirli non passasse da Gerusalemme, ma da Atene. Il Verbo come mediatore, il soprannaturale e l’innaturale, la bellezza del mondo, il giusto punito, la sventura: sono alcuni dei temi che Simone Weil affronta in questi scritti, non più nella forma altamente condensata dei Quaderni, ma in una trattazione distesa, come chiarendo in primo luogo a se stessa le sue abbaglianti intuizioni.

Simone Weil – Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale [Epub – Mobi]

cover weilA venticinque anni, nel 1934, Simone Weil scrisse queste Riflessioni, vero talismano che dovrebbe proteggere chiunque è costretto ad attraversare l’immenso ammasso di menzogne che circonda la parola «società». Come sempre nelle parole più ovvie, in essa si cela una realtà segreta e imponente, che agisce su di noi anche là dove nessuno la riconosce. La Weil è stata la prima a dire con perfetta chiarezza che l’uomo si è emancipato dalla servitù alla natura solo per sottomettersi a un’oppressione ancora più oscura, ancora più capricciosa e incontrollabile: quella esercitata dalla società stessa, poiché «sembra che l’uomo non riesca ad alleggerire il giogo delle necessità naturali senza appesantire nella stessa misura quello dell’oppressione sociale, come per il gioco di un equilibrio misterioso». Da questa intuizione centrale si diparte, con cristallina virtù argomentativa, una sequenza di ragionamenti che svelano nei meccanismi del potere come in quelli della produzione e dello scambio altrettanti volti di una stessa idolatria. Scritto quando Hitler era al potere da pochi mesi e quando Stalin era venerato da gran parte dell’intelligencija come «piccolo padre» di una nuova umanità, questo testo non ha un attimo di incertezza nel delineare l’orrore di quel presente. Ma, come sempre nella Weil, lo sguardo è così preciso proprio perché va al di là del presente e percepisce un’immagine inscalfibile del Bene, in rapporto alla quale giudica il mondo. È uno sguardo che ci induce a «sfuggire al contagio della follia e della vertigine collettiva tornando a stringere per conto proprio, al di sopra dell’idolo sociale, il patto originario dello spirito con l’universo».

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