Carl Einstein – Lo Snob

«Una letteratura come quella che faccio io è perdente in partenza, perché è scritta contro il lettore e contro la letteratura comune». Così suona la profezia provocatoria di Cari Einstein fin dagli anni venti. Il silenzio che ha gravato così a lungo sull’opera di questo scrittore, che fu tra i protagonisti dell’avanguardia tedesca del primo novecento, fa da spia e da sintomo all’insostenibile disagio che essa ha suscitato.

Poco o nulla si salva dall’acido corrosivo di una critica di tutti i valori che arriva, da ultimo, fino a demolire le sue stesse fondamenta teoriche. «Non abbiamo più alcuna verità, i vecchi bisogni e i vincoli dell’istinto sono sbiaditi. I desideri pendono vuoti e grinzosi intorno a cose smagrite»… Nell’universo desolato di Einstein ogni tentativo di fuga dal cerchio dell’uniformità — sia esso il gesto spavaldo dello snob o del ribelle o dell’avanguardista — appare dal suo inizio già consunto, risucchiato dal vortice scivoloso delle cose. Nel vuoto di ogni principio la logica e la legge si incaricano allora di compiti delittuosi, la pietrificazione di ogni istinto e di ogni funzione vitale.

L’analisi di Einstein coinvolge per intero la visione antropocentrica del moderno, incapace di generare soluzioni come di proiettarsi fuori dal proprio sterile dominio.

Nessun messaggio consolatorio da queste pagine durissime sull’occidente. Un solo, eccezionale squarcio le illumina: la latenza rivoluzionaria implicita nell’atto creativo totalmente compiuto, la Maschera primitiva o l’opera cubista.

Più di ogni cosa è la lingua stessa usata da Einstein — una scheggia di nuda roccia — che ferisce: aspra e densa di nuova semantica dà la misura dell’enorme sforzo controcorrente di un profeta che si sa inascoltato.