Hans Magnus Enzensberger – Politica e crimine. Nove saggi

(…) Preferirei che i rapporti fra Politica e crimine avessero perso attualità e le mie riflessioni di allora fossero invecchiate. Purtroppo non è così. Chi si ricorda ancora, oggi, di Rafael Trujillo? Eppure i «padri della patria» di quel tipo non sono scomparsi. Si sono moltiplicati. Per ogni Marcos, per ogni Sukarno che sparisce, si trova un degno successore. La modernizzazione della mafia e della camorra procede di pari passo con lo sviluppo del suo presupposto, la crescita del mercato mondiale. I disertori non sono più condannati a morte secondo una minuziosa procedura giuridica come avvenne al soldato Slovik: sono semplicemente eliminati, come nella guerra del Golfo, con i gas tossici. Quando morì la povera Wilma Montesi, non si parlava ancora di Moro e di Sofri, di Gelli e di Craxi, eppure la logica surreale dei servizi segreti e della giustizia era già ben visibile, solo che si avessero occhi per vederla (…)Mi dispiace molto che questo libro non sia diventato superfluo.

H.M. Enzensberger (dal post-scriptum, giugno 1998)

Hans Magnus Enzensberger – Gli elisir della scienza

Sin dai suoi esordi letterari nei primi anni Sessanta, Hans Magnus Enzensberger ha rivolto una particolare attenzione ai temi in senso più ampio scientifici e alle biografie di personaggi noti e meno noti della storia, da Alexander von Humboldt a Giovanni de’ Dondi (a Padova costruì l’astrario), da Darwin a Ugo Cerletti (al quale dobbiamo la scoperta dell’elettroshock). Ne sono testimonianza famose raccolte come Mausoleum (che reca il significativo sottotitolo Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso, 1979), La fine del Titanic (1990) e, in epoca più recente, un libro ormai leggendario come Il mago dei numeri 1997). Scienza e poesia non solo affondano entrambe le loro antiche radici nel mito, ma il loro re-incontrarsi oggi appare più necessario che mai: troppo grande e pericoloso è lo iato che separa la riflessione etico-politica da una comunità scientifica che tende a considerare alla stregua di fastidiosi intrusi chiunque ponga critici interrogativi sul suo operato. Volgere uno sguardo attento alla poesia della matematica, della fisica, dell’astronomia – non era stato lo stesso Kant a postulare la necessità di accostare il «cielo stellato» e la «legge morale»? – può tuttavia essere anche un esercizio mentale utile e piacevole per chiunque. Per Gli elisir della scienza, un percorso dai toni ora ironici, ora ammonitori, ora affettuosi, ora autenticamente accorati. Hans Magnus Enzensberger ha assemblato poesie e interventi in prosa, molti dei quali inediti in Italia. L’esito è un puzzle che offre scorci davvero sorprendenti e che solo un poeta e un intellettuale così fuori dagli schemi come lui poteva offrirci.

Hans Magnus Enzensberger – Panopticon. Venti saggi da leggere in dieci minuti

Panopticon: Venti saggi da leggere in dieci minuti (Vele) di [Enzensberger, Hans Magnus]

Proponendo nel medesimo volume le radici sia della filologia che dell’informazione sessuale, cosí come le inevitabili implicazioni dei privilegi e le analogie tra scienza e religione, l’autore non si limita a sfiorare superficialmente diversi aspetti dell’attualità, ma entra nel vivo per affrontarli con sagacia. L’intenzione è costantemente supportata da citazioni di esperti, da lui definiti «i miei santi protettori e garanti». Enzensberger tiene a sottolineare che il titolo trae ispirazione dal Panoptikum realizzato dal comico tedesco Karl Valentin a metà degli anni Trenta, un insolito gabinetto degli orrori e delle curiosità cui avvicinarsi senza porsi troppe domande. È proprio questo l’atteggiamento richiesto al lettore nell’accostarsi all’opera.

Carl Einstein – Lo Snob

«Una letteratura come quella che faccio io è perdente in partenza, perché è scritta contro il lettore e contro la letteratura comune». Così suona la profezia provocatoria di Cari Einstein fin dagli anni venti. Il silenzio che ha gravato così a lungo sull’opera di questo scrittore, che fu tra i protagonisti dell’avanguardia tedesca del primo novecento, fa da spia e da sintomo all’insostenibile disagio che essa ha suscitato.

Poco o nulla si salva dall’acido corrosivo di una critica di tutti i valori che arriva, da ultimo, fino a demolire le sue stesse fondamenta teoriche. «Non abbiamo più alcuna verità, i vecchi bisogni e i vincoli dell’istinto sono sbiaditi. I desideri pendono vuoti e grinzosi intorno a cose smagrite»… Nell’universo desolato di Einstein ogni tentativo di fuga dal cerchio dell’uniformità — sia esso il gesto spavaldo dello snob o del ribelle o dell’avanguardista — appare dal suo inizio già consunto, risucchiato dal vortice scivoloso delle cose. Nel vuoto di ogni principio la logica e la legge si incaricano allora di compiti delittuosi, la pietrificazione di ogni istinto e di ogni funzione vitale.

L’analisi di Einstein coinvolge per intero la visione antropocentrica del moderno, incapace di generare soluzioni come di proiettarsi fuori dal proprio sterile dominio.

Nessun messaggio consolatorio da queste pagine durissime sull’occidente. Un solo, eccezionale squarcio le illumina: la latenza rivoluzionaria implicita nell’atto creativo totalmente compiuto, la Maschera primitiva o l’opera cubista.

Più di ogni cosa è la lingua stessa usata da Einstein — una scheggia di nuda roccia — che ferisce: aspra e densa di nuova semantica dà la misura dell’enorme sforzo controcorrente di un profeta che si sa inascoltato.

Danilo Kiš – Homo poeticus. Saggi e interviste

«Di tutti gli scrittori della sua generazione, francesi e stranieri, che negli anni Ottanta vivevano a Parigi, era forse il più grande. Di certo il più invisibile» scrive Milan Kundera di Danilo Kiš, precisando poi: «La dea chiamata Attualità non aveva motivo di puntare i riflettori su di lui … non ha mai sacrificato i suoi romanzi alla politica. Ha potuto così cogliere quel che vi era di più straziante: i destini dimenticati sin dalla nascita». Parole che sottolineano la refrattarietà di Kiš a qualsivoglia appartenenza, anche in momenti e in luoghi in cui certe lusinghiere etichette avrebbero automaticamente garantito vaste simpatie («Io non sono un dissidente» scriveva). Giacché l’unica patria di Kiš è la letteratura, e l’unica sua militanza quella di «scrittore bastardo venuto dal mondo scomparso dell’Europa centrale». Di questa irriducibile libertà offre una eloquente testimonianza Homo poeticus, raccolta di saggi e interviste in cui Kiš, applicando il suo genio a un ampio ventaglio di temi, spazia ora nella grande letteratura europea e americana – consegnandoci pagine magistrali su Borges, Flaubert, Nabokov, Sade –, ora nella storia del Novecento. Ovunque egli rivendica la ricchezza polimorfa e la sostanziale unità della tradizione europea, di cui l’anima balcanica è parte insopprimibile, e, contro la riduzione dell’uomo a zôon politikón, le ragioni dell’homo poeticus, inesorabile testimone di destini condannati in partenza all’oblio, di tragedie silenti, di tombe senza nome e, da ultimo, del delirio di un secolo.

Gilbert Keith Chesterton – L’ utopia degli usurai. Una collezione sulle forme di parassitismo

Oltre che poeta, romanziere, giornalista, critico d’arte e pittore, il prolifico scrittore inglese, autore fra gli altri di L’uomo che fu Giovedì e della serie poliziesca Padre Brown (seconda in popolarità soltanto a Sherlock Holmes), fu soprattutto un acuto saggista, un raffinato critico letterario e un feroce polemista, spietatamente critico nei confronti dell’ipocrisia e del materialismo di una società sempre più egoista, convenzionale e ingiusta, che affligge di “ismi” l’uomo comune derubandolo della sua autonomia, della sua dignità e dei suoi semplici piaceri.

Fino a oggi inedito in Europa, malgrado il grande successo che da sempre riscuote negli Stati Uniti, in L’utopia degli usura; Chesterton esercita «la nobile vocazione dell’agitatore», e più spietatamente ironico che mai, denuncia senza mezzi termini i modi e le finalità di una società e di un sistema capaci di sacrificare i valori senza i quali la vita non vale la pena di essere vissuta.

Gilbert Keith Chesterton – L’uomo comune. Un elogio del buon senso e della tradizione

A un primo sguardo, “L’uomo comune” appare come una raccolta di saggi piuttosto eterogenea. Vi sono testi di argomento letterario, in cui si parla di Shakespeare, del dottor Johnson, di Henry James, Tolstoj, Elizabeth Barrett Browning, Dickens. Ci sono scritti d’interesse sociale che toccano i temi più svariati: la frivolezza, la risata, la volgarità, l’importanza della filosofia, il fanatismo, il nudismo. Altrove prevale invece l’elemento religioso, più precisamente cattolico: si va dalla difesa delle scuole confessionali alla critica dell’erastianesimo (la dottrina secondo cui lo Stato ha il diritto di intervenire e di imporre la propria volontà negli affari della Chiesa), fino all’interessante racconto che vede protagoniste due personalità inglesi del XIX secolo, Gladstone e il principe consorte Alberto, che immaginano l’imminente crollo della Chiesa per insurrezione popolare all’indomani della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione (dimostrando di non aver capito nulla della religiosità comune). Chiude il libro un curioso saggio dal titolo Se don Giovanni d’Austria avesse sposato Maria I di Scozia, dove lo scrittore cerca d’immaginare il corso che la storia d’Europa avrebbe preso se questi due suoi carismatici protagonisti avessero intrecciato le loro vite.

Gilbert Keith Chesterton – La serietà non è una virtù

I brevi saggi raccolti in questo volume furono scritti nell’arco di vent’anni per due giornali inglesi, “The Illustrated London News” e “The New Witness”. In essi Chesterton prende di mira alcuni aspetti del suo tempo (ma anche del nostro…), indicativi di un atteggiamento ideologico di irragionevole, e un po’ ottuso, scetticismo nei confronti della Tradizione – assai diffuso tra i suoi (e nostri) contemporanei – e di ingenua fiducia verso tutto ciò che ha l’apparenza della novità. Tra gli argomenti fatti oggetto della sua critica, compaiono la venerazione per gli animali domestici, il proliferare delle sette, il consumismo, il divorzio, lo spiritismo, l’esotismo, la fiducia incondizionata nelle conquiste della scienza, l’ateismo, l’individualismo, la divulgazione pseudoscientifica e, come suggerisce il titolo del primo saggio di questa raccolta (“Sulla serietà”), l’incapacità di sorridere della (e alla) vita.

Gilbert Keith Chesterton – Il pozzo e le pozzanghere

Pubblicato nel 1935, “Il pozzo e le pozzanghere” è una raccolta di brevi saggi polemici che, come scrive Chesterton, “si prefiggono di contrariare coloro che si trovano in disaccordo con noi e di annoiare gli indifferenti”. Se il tema del libro è quello più caro allo scrittore inglese – la difesa del cattolicesimo e della sua tradizione culturale (il “pozzo” del titolo) dagli attacchi provenienti dalla società secolarizzata e dal protestantesimo anglicano (le “pozzanghere”) -, la sua ragione più profonda è la difesa del “vero significato delle parole”. Per Chesterton questo compito, niente affatto accademico, richiede di prendere di petto i fatti della storia, per metterli nella loro vera luce e trarne il corretto insegnamento, ma anche di rispondere alle tante critiche di cui era fatto regolarmente bersaglio. Lo scrittore replica ai suoi avversari mettendone in luce il pregiudizio e si sofferma sulla storia moderna d’Europa, denunciando il materialismo del modello capitalista e il nichilismo di matrice comunista e nazista, mettendo in ridicolo la libertà sessuale dei connazionali e il conformismo degli intellettuali. Apologeta cattolico arguto e fuori dagli schemi, Chesterton non si rinchiuse mai in una sterile condanna delle cose del mondo, ma ricercò sempre il confronto aperto e ad armi pari con un interlocutore che non fu mai un nemico da odiare, quanto piuttosto un avversario al gioco, di cui vedere le carte per capire se bluffa.

Gilbert Keith Chesterton – Quello che ho visto in America

Il 1922 non fu solo l’anno della conversione di Chesterton alla Chiesa cattolica, ma anche quello in cui uscì il libro che raccoglieva le riflessioni dello scrittore sul suo viaggio negli Stati Uniti. Il racconto di Chesterton è costellato di esperienze e di incontri sorprendenti: dalle luci dei grattacieli di New York alle casette di legno nei sobborghi delle grandi città; dal contadino bulgaro diventato cameriere a uno sconosciuto sceriffo astronomo dell’Oklahoma. Sotto ogni cielo lo sguardo dello scrittore è però sempre fisso sull’uomo comune e sul suo destino, perché mai come quando si è in terra straniera ci si rende conto di quanto sia errato considerare l’umanità come una massa indistinta. Il primo passo per incontrare altri uomini è partire dall’acuto sentimento di una reciproca diversità. Tuttavia, se l’America è lo sfondo delle parole di Chesterton, il soggetto del suo discorso sono le fondamenta su cui si regge ogni istituzione politica. Gli immensi edifici di New York, nella loro mirabolante bellezza, diventano i simboli di un capitalismo sfrenato e della dittatura dell’industrializzazione, che hanno illuso l’umanità con l’utopica visione di nazioni tutte uguali, e dunque amiche. Un’uguaglianza che Chesterton non esita a chiamare “schiavitù camuffata da progresso”, ma che non ha cessato di incantare gli uomini fino ai nostri giorni…