Eugenio Mazzarella – Il mondo nell’abisso. Heidegger e i Quaderni neri

Il mondo nell'abisso: Heidegger e i Quaderni neri di [Mazzarella, Eugenio]

Con la pubblicazione nel 2014 dei tre volumi dei Quaderni neri si è di nuovo proposta una querelle classica della vicenda di pensiero di Martin Heidegger: «Heidegger e la politica». Più precisamente: «Heidegger e il nazismo». E più ancora «Heidegger e gli ebrei». Al di là, tuttavia, della evidente operazione di marketing editoriale che ruota attorno a questa riproposizione, i Quaderni neri pongono una serie di questioni rilevanti sul rapporto tra Heidegger e il suo tempo storico e sull’ultima fase della sua riflessione filosofica. Oggetto di questo libro sono esattamente tali questioni, strettamente connesse al grande tema heideggeriano della modernità e della tecnica. Eugenio Mazzarella mostra come dopo l’esplicita adesione al nazismo, attestata chiaramente dal celebre discorso del rettorato del 1933, Heidegger avviò un vero e proprio disimpegno dalla politica e dalla realtà storica del suo tempo. Disimpegno che assume un tono sempre più apocalittico man mano che, nell’inoltrarsi negli anni Trenta, diviene sempre più chiara, per il filosofo tedesco, la deriva di mera potenza del Reich «millenario»; da contropotenza politico-spirituale alla crisi dell’Europa a mera variante del mondo moderno, del calcolo della «tecnica». Un giudizio che consegna l’intero presente – il mondo, la vita, la storia, e l’umanità che vi è coinvolta – al puro abisso di un anatema gnostico, di fronte a cui non c’è scampo se non quello di un’altra possibile storia dell’Essere a venire, sancita dalla celebre espressione: «Soltanto un dio ci può salvare». La storicità concreta, esistenziale e storica, così come si offriva in Essere e tempo, viene in tal modo completamente abbandonata.

Reiner Schürmann – Dai principî all’anarchia. Essere e agire in Heidegger

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Apparso per la prima volta in Francia nel 1982, riscritto e ampliato nell’edizione inglese del 1987 che qui presentiamo, questo libro di Reiner Schürmann è una limpida, originale e sistematica al tempo stesso, interpretazione del pensiero di Heidegger, alla ricerca di una risposta alla domanda: Che fare alla fine della metafisica? Ponendo al centro della sua indagine il rapporto fra teoria e pratica nell’epoca in cui la razionalità metafisica ha esaurito la sua storia, l’autore analizza ciò che accade quando il «pensiero» non garantisce più un fondamento razionale alla conoscenza e, per converso, l’«agire» non può più adattare le proprie condotte – pubbliche e private – a un tale fondamento. Sulla scorta dei testi heideggeriani, Schürmann mostra come la tecnologia moderna conduca a termine una storia cominciata con gli antichi Greci. Se la nostra è, dunque, l’epoca in cui tramontano i principi, si tratta di prepararsi ad un futuro nel quale non si potrà più fare appello al pensiero per legittimare la prassi commisurandola a qualche principio o a qualche «arche»: il pensare e l’agire diventeranno letteralmente «an-archici».

Victor Farias – Heidegger e il nazismo

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Pubblicato nell’ottobre del 1987, questo libro ha immediatamente suscitato vivacissime discussioni anche in Italia, oltre che in Francia e in Germania. Il punto focale della polemica può essere indicato nella domanda: si può distinguere nettamente tra la scelta politica e morale di un filosofo e il significato della sua opera? Che Heidegger, uno dei massimi filosofi del secolo, avesse aderito al nazismo era cosa nota, ma fino a questo libro non aveva comportato conseguenze di rilievo sull’interpretazione del suo pensiero. Il libro di Farias, fondato sullo studio minuzioso dì tutte le fonti accessibili, intende dimostrare che quell’adesione non fu soltanto un fatto privato, un gesto passionale o opportunistico momentaneo, ma l’espressione pubblica di convinzioni che il filosofo conservò per tutta la vita. Se Heidegger ruppe con la politica universitaria ufficiale del regime, fu perché la frazione di Rohm e delle S.A., nelle quali egli vedeva «la verità e la grandezza» del nazionalsocialismo, venne eliminata da Hitler. Da quella frazione Heidegger si attendava un rovesciamento radicale dell’università.
Se Heidegger non divenne il filosofo ufficiale del regime, fu perché era troppo radicalo nel suo nazismo. Del resto il suo comportamento coi colleghi, il suo rifiuto„ fino alla morte, di condannare i crimini del nazismo e di giustificare la propria posizione, sembrano altrettante conferme della profondità anche culturale delle sue convinzioni, le cui radici autoritarie, ultranazionalistiche e antisémite Farias rintraccia in scritti anteriori (1910) e posteriori (1964) alla vicenda nazista.

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Hugo Ott – Martin Heidegger. Sentieri biografici

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Di fronte alla recente marea montante di scritti polemici sul nazismo di Heidegger mi sono trovato più volte a condividere l’opinione di coloro che sostenevano: nulla di sostanzialmente nuovo, nulla che già non si sapesse è venuto alla luce. Le uniche novità significative di questa ventata anti-heideggerìana consistono nella virulenza preconcetta delle argomentazioni, palesemente denigratorie, nell’uso spregiudicato dei massmedia come strumento di amplificazione e infine nell’intento scoperto di rispolverare la vecchia diatriba sul nazismo di Heidegger per colpire in realtà le correnti attuali di pensiero che in Europa e negli Stati Uniti all’opera dì Heidegger sempre più si ispirano. Dopo la lettura del libro di Hugo Ott e la richiesta dell’Editore di introdurne la traduzione italiana mi sono chiesto: condivido ancora la mia vecchia opinione? in che misura? ed eventualmente in che senso? Dalla prefazione

Hans Georg Gadamer – I sentieri di Heidegger

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Heidegger ha voluto che la raccolta completa dei suoi scritti recasse il motto: «Sentieri, non opere». L’essere in cammino lungo piste che conducono nel fitto del bosco, ma che ad ogni svolta possono immettere nella radura, nella Lichtung dove nuova e inattesa luce si fa incontro a chi si è avventurato lungo il difficile percorso: è questa la metafora che Heidegger ha privilegiato per esprimere il senso del suo pensare.
Gadamer, che ha seguito fin dagli anni marburghesi il Denkweg, il rigoroso e radicale itinerario di pensiero del suo grande maestro, ritorna in questo libro a ripercorrerne le tappe principali. Ma può ritornarvi in modo fruttuoso e illuminante solo perché ha saputo seguire fino in fondo il compito del proprio autonomo pensiero. Intende così i «sentieri» del maestro come «cenni», come «segnali» che indicano una direzione solo per colui che sa rischiare di persona.
Gadamer interpreta Heidegger alla luce del proprio sviluppo ermeneutico della fenomenologia ontologica, offrendo una lettura unitaria, pur nella varietà degli spunti e delle occasioni. Nei diversi momenti vengono riconosciute le tappe di un cammino rivolto verso un’unica meta: pensare l’essere, aprirsi all’orizzonte originario dove la verità dell’essere non è occultata da fraintendimenti oggettivanti, ma appare come evento e linguaggio.

Jacques Derrida – Dello spirito. Heidegger e la questione

Dello spirito: Heidegger e la questione

“Parlerò dello spettro, della fiamma e delle ceneri. E di ciò che evitare significa per Heidegger”. Sono le prime parole del libro: ora, lo “spettro” (che in francese suona “revenant”, ovvero “spirito”, anima di un morto che si suppone ritorni dall’altro mondo) è proprio lo spirito, e Derrida mostra come questa parola, evitata in Essere e tempo, ritorni nel pensiero del filosofo tedesco a un preciso punto del suo cammino, nel 1933, anno della celebre prolusione accademica intitolata L’autoaffermazione dell’università tedesca. Che cosa vuol dire la parola “spirito” nell’opera di Heidegger? E che cosa significano le sue dichiarazioni sulla “crisi dello spirito” e sulla “libertà dello spirito”? Per rispondere, Derrida ripercorre il sentiero seguito dal filosofo tedesco a partire da Essere e tempo e fino al testo dedicato alla poesia di Trakl, con una analisi ricca di riferimenti alle letture di Hòlderlin, Schelling e Nietzsche. “Dello spirito” è il resoconto del tormentato dialogo di Derrida con Heidegger; dialogo impietoso e a tratti aporetico, ma decisivo.

Franco Volpi – La selvaggia chiarezza. Scritti su Heidegger

La selvaggia chiarezza. Scritti su Heidegger

La migliore guida per la comprensione del pensiero di Heidegger. Tra i filosofi del Novecento, Martin Heidegger è quello che più di ogni altro ha spinto il pensiero oltre i canoni acquisiti del rapporto tra soggetto e oggetto, verità ed esperienza. Ne ha esplorato il limite, oltre il quale occorreva un linguaggio nuovo: una parola rivelatrice che liberasse la filosofia dalla cappa metafisica che aveva pesato su tutta la sua storia. In tale contesto, tanto esaltante quanto arduo, si è svolta la preziosa attività di Franco Volpi non solo come studioso e acuto interprete di Heidegger, ma anche come suo magistrale traduttore. Nulla come una traduzione, infatti, consente di penetrare in profondità nei gangli di un pensiero, e chi voglia oggi smontare, e comprendere dall’interno, la complicata macchina speculativa del «mago di Messkirch» troverà dunque qui il miglior viatico. La padronanza del lessico, sfrondato da ogni compiacenza gergale, la competenza con cui Volpi chiarisce le numerose oscurità del filosofo fanno di questo libro un esempio di lettura ermeneutica, un lucido percorso nei labirinti di Heidegger. Un percorso capace di svelare la segreta relazione tra il secolo che si è chiuso e il suo più imbarazzante testimone: che incarna il destino stesso della nostra epoca, e della sua pensabilità.

Franco Volpi – Heidegger e Aristotele

Heidegger e Aristotele

Nella lunga crisi della grande filosofia seguita alla fine del sistema hegeliano, Heidegger ci ha restituito il senso di che cosa significhi pensare in grande stile. Questo non solo per la grandezza e lo spessore della sua opera, che sta venendo ora alla luce in tutta la sua imponenza. Non solo per l’acuta sensibilità che – nonostante tutte le apparenze – Heidegger ha mostrato nei confronti dei problemi fondamentali della nostra epoca: il venir meno della coscienza religiosa, la crisi dei valori tradizionali e la sfiducia nei confronti di una ragione meramente strumentale, la fine dell’assoluto sulla terra e il chiudersi dell’orizzonte epocale della tecnica. Ma anche e soprattutto per il fatto che, con una radicalità che nessun altro dopo Hegel aveva osato, Heidegger ha saputo ripensare nel suo insieme l’accadere della filosofia occidentale, riproponendo come problema filosofico la questione dei fondamenti dell’epoca presente e della sua connessione essenziale con il pensiero greco. In quest’orizzonte, la presenza di Aristotele nel pensiero heideggeriano non è circoscrivibile nelle forme di una semplice interpretazione. Essa è piuttosto una presenza generalizzata che pervade tutta l’opera di Heidegger e che si configura nei termini di una assimilazione rapace e di un confronto mirante a una appropriazione radicale dell’ontologia e della filosofia pratica di Aristotele.