Arthur Schnitzler – Fink e Fliederbusch. Commedia in tre atti

Arthur Schnitzler, figlio di un medico e medico egli stesso, fu definito da Freud il suo “doppio”, capace di sapere “per intuizione – ma in verita` a causa di una raffinata percezione di sé – tutto cio` che io con faticoso lavoro ho scoperto negli altri uomini.” Racconti e novelle come «Morire» (1892), «Fuga nelle tenebre» (1912), «Il ritorno di Casanova» (1918), il monologo interiore «La signorina Else» (1924) e il romanzo «Therese» (1928) sono la perfetta mediazione letteraria tra questa capacità analitica e nuove tecniche di narrazione da essa derivanti. Ma il ruolo di “doppio” freudiano si addice in particolare all’autore per il teatro, che seppe mettere in scena le contraddizioni della morale borghese, i fantasmi e i tabù della società viennese dalla fine del secolo agli anni di guerra e della dissoluzione dell’Impero asburgico. «Fink und Fliederbusch» (1917), commedia in tre atti pubblicata qui per la prima volta in italiano a cura di Fabrizio Cambi, porta letteralmente in scena il “doppio”, amara metafora del relativismo che non risparmia neppure le intime certezze del singolo. Farsa e satira insieme, è una critica sferzante dei media di inizio secolo e in particolare della stampa viennese. Anche in versione a stampa (isbn 9788898630189).

Hugo von Hoffmansthal – Il libro degli amici

Il libro degli amici

«La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie» (Hugo von Hofmannsthal). Un «paradiso di pensieri», legati per affinità e offerti in dono ad altri affini, i lettori. “Il libro degli amici” fu pubblicato per la prima volta nel 1922 dallo stesso Hofmannsthal (1874-1929) in un’edizione per bibliofili di soli 800 esemplari, palesemente destinata a una cerchia di «amici» – lettori di particolare qualità. La traduzione si fonda tuttavia sulla seconda edizione, curata nel 1929 da Rudolf Alexander Schroeder e arricchita da una serie di aforismi tratti dalle carte inedite dello scritore.

Hugo von Hoffmansthal – L’uomo difficile. Commedia

L’uomo difficile

Come l’”Andrea” fra le sue opere in prosa, “L’uomo difficile” (1918) è la punta trasparente e acuminata dell’opera teatrale di Hofmannsthal. In questa sublime ‘commedia mondana’ Hofmannsthal ha racchiuso un autoritratto cifrato, indispensabile per capirlo. Maestro delle superfici e delle maschere, ha voluto celare il suo segreto nella cronaca svagata e briosa di una serata in società, dove il gioco serrato, e musicalmente scandito, delle entrate e delle uscite sembra a prima vista disegnare una tradizionale commedia degli equivoci amorosi, dove ogni persona corteggia la persona sbagliata. Ma qui il malinteso assume in certo modo una dimensione di assoluto, diventa il sigillo di ogni azione: ed è proprio il senso acutissimo di questo malinteso legato fatalmente a ogni gesto, a ogni parola pronunciata, a rendere così ‘difficile’ il protagonista della commedia: aristocratico viennese che esercita quasi senza volerlo un enorme fascino su chiunque lo incontri, incarnazione vivente di un’intera civiltà vicina a estinguersi, segnato a fondo da atroci ed eroiche esperienze di guerra, di cui mai parlerebbe, pronto a cancellarsi totalmente e a negare la propria felicità pur di non cedere all’ ‘indecenza’ di esprimere la propria volontà. Intorno a questo straordinario personaggio e alla sua eloquente afasia si annoda uno scintillante intreccio sociale, dove ogni battuta, ogni carattere, ogni particolare si impongono immediatamente e con naturalezza, perché toccati tutti dalla perfezione. Così Hofmannsthal è riuscito a realizzare un ‘difficile’ sogno: sovrapporre il chiacchiericcio di una commedia brillante a un dramma silenzioso senza cadere egli stesso nell’‘indecenza’ di raccontarlo.

Hugo von Hoffmansthal – L’incorruttibile

L'incorruttibile

Insieme a L’uomo difficile , L’incorruttibile è il vertice della parabola drammaturgica di Hofmannsthal. In questa pièce del 1923 lo scrittore austriaco riesce a riprendere le forme della tradizione teatrale europea innovandole dall’interno, con una sensibilità tutta moderna. Gli intrighi adulterini del giovane barone Jaromir vengono contrastati dall’«incorruttibile» domestico Theodor, che si illude di essere il regista degli avvenimenti, se non un vero e proprio demiurgo. Ma fra intrighi e contro-intrighi,Theodor, invece di dominare il destino proprio e altrui, riesce soltanto a innescare una catena di conseguenze che gli sfuggiranno completamente di mano e che sfoceranno in una felice conclusione per gli imprevedibili intrecci delle scelte di tutti i personaggi in campo. Una commedia che indaga acutamente i meccanismi delle relazioni umane, in bilico tra volontà e caso, e svela egoismi e vanità a colpi di ironia.

Georg Groddeck – Lo scrutatore d’anime

Lo scrutatore d'anime

«Non è facile sopportare pensieri così intelligenti, audaci e impertinenti» scriveva Freud a Groddeck nel febbraio del 1920 a proposito dello “Scrutatore d’anime”. Questo singolare romanzo, l’unico che Groddeck abbia scritto, era stato fino allora rifiutato da vari editori, piuttosto scandalizzati dal suo contenuto, e fu proprio Freud a farlo accogliere fra le pubblicazioni della casa ufficiale del movimento psicoanalitico, il Psychoanalytischer Verlag, e con tutti gli onori: «Dobbiamo tutti dirle grazie per il sorriso delizioso con cui, nel suo “Scrutatore d’anime”, ha rappresentato le nostre indagini sull’anima, altrimenti tanto serie». La straordinaria idea di Groddeck, nello “Scrutatore d’anime”, è di fare dell’Es il protagonista di un romanzo. Il “romanzo psicoanalitico” annunciato nel sottotitolo diventa allora innanzitutto uno sfrenato romanzo picaresco, scosso da una inesauribile comicità e allegria, cronaca del grave sconquasso prodotto dall’irruzione dell’Es nei più vari ambienti della Germania prussiana – nelle birrerie e nelle prigioni, fra principi e truffatori, socialisti e femministe, militari e medici, donne leggere e signore prudes. Portatore, eroe e vittima dell’Es è qui un borghese di mezza età, scapolo e benestante, che conduce una vita quieta e lievemente ottusa fino al giorno in cui una rivelazione improvvisa lo convince ad abbandonare ogni sua idea precedente e perfino il suo nome e a gettarsi all’avventura, trasformandosi in un geniale buffone, totalmente privo di senso del pudore e della dignità, insieme regredito all’infanzia e asceso alla saggezza, pronto a diffondere ovunque una buona novella che tutti giudicano assolutamente sconveniente, ma da cui tutti, in qualche modo, rimangono contagiati. Il contagio interiore è, di fatto, il grande mezzo con cui l’Es opera nel mondo le sue mirabili trasformazioni. Ed è proprio questa la folgorante visione che ha fatto del borghese August Müller il trickster Thomas Weltlein.

Israel Joshua Singer – Acciaio contro acciaio

Acciaio contro acciaio

Le strade roventi popolate da orde di mendicanti, da cortei funebri, da bande militari tedesche che incedono con grande strepito, dai temuti Ussari della morte che sfilano in tutto il loro minaccioso splendore, da individui affamati e senza casa che si aggirano con espressione apatica, indifferente. Il gigantesco cantiere sulla Vistola dove gli operai – russi, ebrei e polacchi – si sfiancano assonnati e indolenziti, perennemente sovrastati dal fragore delle onde, dal rombo dei macchinari, dal ruggito delle voci che sbraitano in varie lingue. È la Varsavia che accoglie Binyamin Lerner, reduce da nove mesi sul fronte galiziano nella fanteria dello zar. E più che mai deciso a sopravvivere, anche a prezzo della diserzione, a conquistare il suo destino in un mondo divelto dalle fondamenta: a contrastare, acciaio contro acciaio, l’inesorabile violenza della Storia. Una violenza che Singer ha vissuto sulla propria pelle e nella quale – mentre seguiamo Binyamin dal vertiginoso caos di Varsavia a una comune agricola in Polesia e infine a Pietroburgo, cuore della Rivoluzione – ci sprofonda, letteralmente, con la prodigiosa maestria che i molti lettori della “Famiglia Karnowski” hanno imparato a conoscere.

Soma Morgenstern – Fuga e fine di Joseph Roth. Ricordi

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Su Roth esiste un’unica testimonianza preziosa: questa di Soma Morgenstern. E, come già il titolo lascia intravedere, il biografato vi campeggia nei panni del più complesso e variegato fra tutti i personaggi dello stesso Joseph Roth. Non di rado è un Roth insolente e ingrato, geniale e un po’ impostore, infantile e lucidissimo nei suoi giudizi sull’epoca, i contemporanei e la letteratura, ora aggressivo ora vulnerabile, a uscire da queste pagine acute, appassionate, trascinanti. In ogni capitolo si incontrano rivelazioni che avvincono, sorprendono, commuovono. Vediamo evocate l’infanzia e l’adolescenza di Roth, i suoi amori e le frequentazioni femminili, le discussioni al caffè con Stefan Zweig, Kesten, Musil, l’apprendistato da alcolista, l’idiosincrasia per psichiatri e psicologi, gli anni parigini dissoluti e distruttivi, l’irrompere del delirio e delle sconnessioni mentali. Sia i luoghi (il Prater, il Café Museum) sia i personaggi concorrono a formare una narrazione compatta, coerente, di magistrale orchestrazione.
Romanziere presentato con entusiasmo da Robert Musil, Morgenstern fu soprattutto il memorialista di una civiltà – quella nata dal connubio ebraico-tedesco – che si respira in ogni sua pagina, nella sua inconfondibile mescolanza di rigore intellettuale, leggerezza dello spirito e finezza della sensibilità. Dell’opera di Morgenstern si discuteva nella Vienna dell’entre-deux-guerres così come a Berlino e a Francoforte. La tragedia del secolo fece di lui un profugo: dalla Galizia dove nacque e crebbe accanto a Roth, alla Vienna dell’Impero al tramonto e della burrascosa prima repubblica, alla Parigi del febbrile e produttivo esilio, ai campi di internamento di una Francia fellona sino all’approdo a New York, dove morì dimenticato nel 1976. Fuga e fine di Joseph Roth è apparso per la prima volta nel 1994.

Joseph Roth – Tarabas. Un ospite su questa terra

Tarabas

Nikolaus Tarabas, «ospite su questa terra», è una delle grandi figure romanzesche di Joseph Roth. Ma soprattutto è uno dei rari personaggi della letteratura moderna che rappresenti, immediatamente, un destino. «Io leggo nella sua mano che lei è un assassino e un santo», così dice una zingara al giovane Tarabas – e tutta la sua vita sarà una corrente turbolenta e disordinata, i cui meandri appaiono solo se la si guarda da una certa distanza. Fin dall’inizio Tarabas, giovane russo di agiata famiglia, è in preda alla «indiscriminata passionalità» del suo cuore, a una rapacità vitale che copre una ancor più profonda furia di morte. Tarabas è bello, imperioso e ama sentirsi potente. Ma non ama la vita: vuole solo dominarla, pungolato da un segreto, superstizioso terrore che essa gli incute. Verso le donne è possessivo e prevaricatore; verso gli uomini è insofferente – e al massimo tollera che siano suoi subordinati ubbidienti. La sua unica «patria» sarà la guerra, la crudele, caotica guerra che infuria sulla «frontiera occidentale» dell’Impero russo, nel momento del suo disgregarsi. E nel raccontarci questa guerra, dove Tarabas presto diventa un’incarnazione del guerriero terribile, «despota» devastatore, cacciatore astuto in cerca di vittime, Roth si abbandona come mai altrove al passo grandioso dell’epica. Questo romanzo della sua piena maturità (1934), in cui sembra echeggiare la brutalità che sobbolliva in Europa, è però innanzitutto una abbagliante parabola sulla violenza. Alla violenza collettiva (memorabili pagine sono dedicate allo scatenarsi di un pogrom) si intreccia qui la violenza di un essere come Tarabas, «pozzo profondo e buio», forse il personaggio più affine, in Roth, a certi mirabili ‘mostri’ del romanzo russo. E, come quei personaggi, Tarabas è capace anche di imprevedibili, stupefacenti metamorfosi.

Joseph Roth – Il Caffè dell’Undicesima Musa. Un’antologia viennese

Il Caffè dell'Undicesima Musa

Joseph Roth non fu soltanto un grande narratore, uno dei pochi del Novecento che reggano il tempo vivificandosi sempre di più. Fu anche uno stupefacente scrittore per giornali, nel senso che in pochi anni profuse sui quotidiani austriaci e tedeschi una quantità enorme e variegata di scritti di ogni genere, che basterebbero da soli a costituire un’opera di altissima qualità. Roth, come scrisse Soma Morgenstern, era «un descrittore nato, e del genere più illustre», capace di applicarsi a qualsiasi spettacolo della vita. In questo volume, il primo di una serie dove appariranno molti degli scritti brevi di Roth, il soggetto è una città: Vienna, stremata da una guerra che aveva significato una devastazione capillare e insieme la fine di un Impero. E nessun testimone poteva osservare quel mondo con sguardo altrettanto lucido e partecipe. Mondo disarticolato, che si misura sulle quotazioni della borsa nera, dove tutti sembrano artisti di circo (o comparse del nuovo universo cinematografico) in attesa di una scrittura – e fra loro si mescolano alcuni pazzi dello Steinhof. Mondo di cui Joseph Roth, più di ogni altro, fu il cronista e il cantore.

Joseph Roth – Al bistrot dopo mezzanotte. Un’antologia francese

Al bistrot dopo mezzanotte

«Sono un Francese d’Oriente» scrive Joseph Roth da Odessa nel 1926. Ha già nostalgia di Parigi, meta l’anno precedente della sua fuga dalla Germania: Parigi è la «capitale del mondo» commentava allora, senza sapere che lì sarebbe vissuto quattordici anni e avrebbe scritto gran parte dei suoi libri. Chi non è stato a Parigi, del resto, è «solo un mezzo uomo», e diventare uomo completo significa, per Roth, godere di un’identità multipla nella città in cui gli ebrei orientali – affluiti dopo la guerra – «possono vivere come vogliono». Come i mirabili reportage da Vienna raccolti nel “Caffè dell’Undicesima Musa”, anche questi feuilleton francesi sono racconti perfetti, increspati da un impagabile humour e da spiazzanti paradossi, gremiti di suoni e colori, odori e sapori: reti di nere cozze sgocciolanti e lupi di mare nel porto di Marsiglia; aromi di caffè, Pernod e acquavite nei bistrot parigini dove, dopo mezzanotte, si raccolgono gli esuli d’Europa; il bel mondo della Costa Azzurra con le sue vecchie cariche di brillanti e stuoli di cagnolini al seguito; l’alta stagione a Deauville con Monsieur Citroën che perde sempre al Casinò e regala un’automobile a ogni croupier; toreador vili e cialtroni nelle corride di Vienne (in cui le simpatie di Roth vanno naturalmente al toro); suonatori cosacchi di nostalgiche balalaiche; indossatrici che «seducono con caviglie moralmente corrotte» e femmine nude nei «luoghi di perdizione più ameni del mondo».