Jakob Wassermann – Caspar Hauser o l’inerzia del cuore

Caspar Hauser o dell'ignavia del cuore

Nel 1828 un giovane sconosciuto comparve in una piazza di Norimberga. Il ragazzo rifiutò cure e cibo, nutrendosi a lungo solo di acqua e pane nero, incapace di parlare e tanto meno di leggere e scrivere. Fu un caso di cronaca misterioso, su cui si accese la fantasia popolare al punto che il ragazzo venne nominato “il fanciullo d’Europa”. Lord Stanhope si interessò a lui e nel 1832 lo mandò ad Ansbach per completare gli studi, ma lì venne assassinato in circostanze sospette pochi anni dopo, continuando così ad alimentare il suo mito. Il mistero di Caspar Hauser fu a tal punto clamoroso che stimolò la fantasia letteraria negli anni a venire, fornendo materia prima a romanzi, saggi, ricerche e film. Molti ipotizzarono che fosse un principe della famiglia regnante nel Baden, vittima di oscuri intrighi dinastici; altri pensarono a lui come a un impostore. Wassermann abbracciò la tesi del principe e la pose al centro della sua finzione letteraria per scrivere questo straordinario romanzo, paragonato al Candido di Voltaire e a L’idiota di Dostoevskij.

Ludwig Lewisohn – Il caso Crump

Il caso Crump

Per Thomas Mann questo romanzo era “vita”, Sigmund Freud lo celebrò come un capolavoro, eppure la società dell’epoca giudicò la storia di Herbert Crump un atto di sabotaggio all’istituzione del matrimonio. Il libro ha come protagonista il giovane Herbert, musicista dall’animo nobile, cresciuto tra Chopin, Beethoven, i suoni della Carolina del Sud e i canti dei neri nelle chiese. Sua moglie Anne è, al contrario, altera, chiassosa e feroce, totalmente priva di gusto. I due finiscono per dar vita a un’unione infelice, in cui dominano la volgarità e la sopraffazione, davanti alla quale per l’uomo esiste una sola, drammatica via d’uscita. Scritto intorno alla metà degli anni Venti, rifiutato da tutte le case editrici americane, Il caso Crump venne pubblicato in Francia nel 1931 con una prefazione di Thomas Mann, e arrivò negli Stati Uniti solo nel ’47, seppur in una versione edulcorata. Un romanzo controverso, che fu caro a molti artisti e intellettuali del primo Novecento e che torna ora a disposizione dei lettori di oggi.

Walter Serner – La tigre

La tigre

Bichette si è guadagnata il soprannome di “Tigre” per la sua femminilità aggressiva e famelica, non priva di una buona dose di cinismo. A Parigi ormai la conoscono tutti, in particolare gli uomini, ma nessuno è mai riuscito a “catturarla” davvero, legandola a sé. Finché sulla scena non appare l’enigmatico Fec, amaro vagabondo della città, che sembra guardare la Tigre con occhi annoiati. Da questo incontro scaturisce un’avventura concitata e surreale che smaschera il “feticcio” dell’amore. Dandy e intellettuale alternativo, Walter Serner racconta la Parigi degli anni Venti, fotografandone le scene sordide e meravigliose con un linguaggio a volte così dialettale da divenire pura fantasia. Pubblicato nel 1925 e messo all’indice dal nazismo nel 1935, La tigre resta una delle più forti espressioni della letteratura dadaista e avanguardista del Novecento.

Thomas Bernhard – La fornace

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La fornace (Das Kalkwerk), il romanzo scritto da Thomas Bernhard nel 1970, ha l’avvio del tipico «giallo di Natale», o di uno di quei romanzi foschi piu consueti alla letteratura anglosassone: nella notte della vigilia di Natale un’anziana signora paralitica viene trovata uccisa da un colpo di carabina. Subito dopo, però, la polizia scopre il marito Konrad tutto infreddolito in una lurida fossa, ed è lui il reo, confesso. Così il romanzo si avvia immediatamente verso la narrazione degli antecedenti e dei motivi remoti ed estesi nel tempo del gesto di Konrad. Konrad stesso, protagonista in prima e in terza persona, voce monologante-dialogante con i filtri abituali della narrativa di Bernhard, espone la storia del proprio ménage coniugale in quella vecchia fornace solo vagamente riattata e da lui stesso prescelta, dopo alti e bassi sempre piu sfortunati, per poter scrivere l’opera della sua vita, un saggio sull’udito, «il più filosofico dei nostri sensi», che da tempo ha «bell’e pronto nella testa» ma che finirà per non scrivere mai, come mai scriverà il suo libro su Mendelssohn il protagonista dell’altro romanzo di Bernhard, Beton. L’universo concentrazionario dei due coniugi, costretti dall’imbarazzo fisico e psichico a convivere con le loro inutili e logoranti manie in quel monastero-carcere dalle enormi stanze vuote, con soffitte piene di cianfrusaglie e cantine cavernose ove si conserva il sidro caro alla Konrad, si dipana nella confessione dell’uomo con le minuzie di una sequela di giorni fatta di avvenimenti pesanti e impercettibili, di ripicche e torture reciproche, di ossessioni sadiche e soffocanti. Il discorso si snoda nei modi e toni della quotidianità e dei rovelli rancorosi, compressi, in un ordine narrativo sparso che risponde solo a ragioni interiori. Il fraseggiare protratto, le clausole ripetitive, la semplicità dei vocaboli, i ritorni, le riprese, pur seducono irresistibilmente la lettura, spenti come sono ma ricchi d’improvvisi squarci lirici o comici, cupamente tragici nella loro normalità o accesi nella loro totale follia. Questo mondo impoetico fino all’ottusità muove pure da un’ispirazione fortissima, delineando con un’incontenibile vena musicale una metafora dei temi esistenziali, un’interpretazione drammatica e ironica dell’opacità del nostro tempo.

Thomas Bernhard – Amras

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Segregati in una torre – al tempo stesso eremo mistico e simbolo della loro tradizione familiare – due fratelli vivono un tempo sospeso e dilazionato, dopo il suicidio dei genitori, cercando un impossibile approccio all’Assoluto. In questo bruciante racconto della maturità, Thomas Bernhard ha condensato con sapienza narrativa i motivi e i temi cardine del suo intero universo poetico. Quei suoni che provengono dalla strada, le figure ancora intraviste dalle tende tirate nell’incombente buio della sera, i libri di poesia ancora compulsati, i noti oggetti e volti quotidiani, percepiti in un istante che si avverte come estremo: tutto questo è evocato con un amore segreto e umanissimo, che restituisce alla vita tutta la sua aura sacrale.

Thomas Bernhard – Cemento

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Per scrivere il suo studio su Mendelssohn Bartholdy, il narratore, Rudolf, ha bisogno di essere a casa propria, in campagna. Ha dunque atteso con impazienza la partenza della sorella, venuta a trascorrere qualche giorno con lui. Ma non era stato forse lui a invitarla, proprio perché non riusciva a mettersi al lavoro? Così, dopo la sua partenza, Rudolf non riesce ugualmente a scrivere. Avverte dovunque la presenza invadente di lei, sente il suo discorso protettivo, ironico, provocatorio… Rudolf penserà di sfuggirle intraprendendo un viaggio. Ma il suo soggiorno a Palma non farà che rianimare in lui il ricordo di un dramma di cui è stato testimone anni prima: un suicidio, un fatto di cronaca di desolante banalità.

Thomas Bernhard – A colpi d’ascia. Una irritazione

A colpi d'ascia

Siamo a Vienna, negli Anni Ottanta. La sera c’è stata una rappresentazione dell’”Anitra selvatica” di Ibsen al Burgtheater. Segue una «cena artistica» a casa della coppia Auersberger, che il narratore non vede da vent’anni: lei cantante, lui «compositore nella scia di Webern», entrambi «signorilmente consunti». Tutto il romanzo è il resoconto di ciò che il narratore vede e ascolta, seduto nella sua poltrona in anticamera con una coppa di champagne in mano, e poi, seduto a tavola, durante questa serata: implacabile, ferocemente comico, inesauribile nelle variazioni e nei ritorni sul tema, Bernhard devasta con l’ascia della sua prosa il mondo della pretenziosità e dell’inconsistenza intellettuale, che non corrisponde solo a una certa scena viennese ma a ciò che circonda noi tutti. La «cena artistica» diventa così il condensato di tutte le «atrocità» da cui il narratore è riuscito a «mettersi in salvo» durante la sua vita, come se quell’incessante chiacchiericcio tentasse di impaniarlo di nuovo, ma con l’unico risultato di provocare un furioso desiderio di fuga, una corsa cieca, che finisce per coincidere con la scrittura martellante di questo libro, che trafigge l’atrocità con la forma. E questa appunto è stata sempre l’arte di Bernhard. Pubblicato nel 1984, “A colpi d’ascia” suscitò enorme scandalo perché alcuni personaggi viennesi credettero di riconoscersi in queste pagine. Il libro fu dunque proibito in Austria, ma ebbe subito un grande successo anche di pubblico.

Thomas Bernhard – Teatro I. Una festa per Boris. La forza dell’abitudine. Il riformatore del mondo

Teatro I

Thomas Bernhard è uno dei giganti della letteratura del Novecento. È innegabile che con i suoi romanzi ha saputo innovare la scrittura narrativa come pochi altri scrittori, ma è forse nel teatro, a cui ha dedicato la maggior parte della sua attività, che lo scrittore austriaco ha trovato la cifra inconfondibile della sua identità letteraria. Riunire i testi teatrali di Bernhard, impresa avviata da Ubulibri nel 1982, è stata un’opera tempestiva e lungimirante che merita di essere ripresa a distanza di anni e completata. Questo primo volume riunisce tre testi dei primi anni Settanta: dall’esordio un po’ beckettiano di Una festa per Boris (1970), con la sua tragicomica sfilata di personaggi senza gambe, a La forza dell’abitudine (1974), tagliente e grottesca parabola della ricerca di perfezione artistica ambientata in un emblematico circo, fino a Il riformatore del mondo (1975), autorappresentazione di un vecchio delirante che si atteggia a coscienza del pianeta degradato e a nuovo ordinatore del caos, uno dei capolavori assoluti di Bernhard, molte volte rappresentato anche in Italia.

Thomas Bernhard – Teatro II. La brigata dei cacciatori. Minetti. Alla meta

Teatro II

Come per la narrativa, anche per il teatro Thomas Bernhard resta fedele a un’idea dell’arte come luogo dell’autenticità. Nonostante tutto. Nonostante cioè la perversità e la falsità di cui è capace il linguaggio. Ma al linguaggio Bernhard non dà tregua. Non lo distrugge né lo guarda troppo da vicino, ma lo complica e lo ribalta, lo prova e lo riprova come se nelle pieghe piú segrete, negli intrichi semantici e sintattici spinti fino al grottesco, potesse aprirsi uno spiraglio che faccia intravvedere un po’ piú in là nell’orizzonte di tenebra che comunque circonda ed esalta la vita. Dal saggio introduttivo di Eugenio Bernardi