Il capitalismo italiano alla fine della prima guerra mondiale; la spedizione di Fiume; l’occupazione delle fabbriche; da Giolitti al Congresso di Livorno; l’offensiva degli agricoltori contro i contadini; le conseguenze politiche ed economiche della disoccupazione; la lotta contro i provvedimenti tributari da parte della borghesia: ecco i capitoli principali di questo grande libro sulla crisi del dopoguerra 1919-1921.
“In effetti,” scrive Franco Catalano, “leggendo queste pagine, forse si rimarrà meravigliati nel vedere come l’atteggiamento delle classi sociali si sia ripresentato, in anni a noi vicinissimi, quale era stato fra il 1919 e il ’21: gli stessi fenomeni che si sono potuti notare molto di recente si erano notati già allora.” E aggiunge: “Si è sempre parlato, ad esempio, di debolezza della classe dirigente liberale di fronte al fascismo, ma raramente si è specificato meglio in che cosa tale debolezza sia consistita.” E in realtà questo libro, che è del 1964 e che ora è stato interamente rifatto, risponde a questo duplice obiettivo: da una parte la ricostruzione di uno dei periodi decisivi della nostra storia recente attraverso l’analisi della situazione economico-sociale in cui il fascismo è sorto, delle complicità e delle ragioni che l’hanno condotto al potere; dall’altra, il continuo riporto ai problemi contemporanei, la ricerca e la messa in luce di analogie, spesso formidabiIi, con le vicende che stiamo quotidianamente vivendo (inflazione, disoccupazione, tasse, crisi dell’agricoltura ecc.).
Ne viene fuori un libro magistrale, in cui la raccolta di dati e notizie rari o inediti si salda con una “visione”, che è scientifica e militante, in cui tutta una certa realtà è presente con la sua concretezza e coi suoi significati; e in cui sembra davvero realizzarsi la convinzione che “la storia deve soprattutto preoccuparsi di mostrare come si sono svolti gli avvenimenti, di chiarirne le cause interne e, perciò, di far vedere perché mai la vita degli uomini ha preso, in quel determinato periodo, un orientamento piuttosto che un altro”
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AA.VV. – Fascismo e capitalismo
Gli studiosi che hanno collaborato a questo volume, come chi se ne è assunto la cura, credono al contrario che riaffermare con chiarezza le ragioni della condanna storica del fascismo non costituisca un ostacolo a cercare di comprenderne la natura e la storia. Con i loro saggi, che a volte riprendono i risultati di studi precedenti ma più di frequente avanzano nuove ipotesi o problemi di interpretazione, intendono portare un proprio contributo su alcuni degli aspetti al centro dell’attuale dibattito: dai rapporti tra liberalismo e fascismo alla strategia dell’opposizione antifascista, dalla struttura della società e delle istituzioni alla politica estera e militare del regime fascista.
Ugo Spirito – Il corporativismo
In questo volume che ha il nuovo titolo complessivo, Il corporativismo, sono stati riprodotti i tre libri che Ugo Spirito scrisse sul corporativismo negli anni intorno al 1930 e in particolare nel periodo di vita della, rivista « Nuovi studi di diritto, economia e politica» (1927-1935). Essi sono Dall’economia liberale al corporativismo (critica dell’economia liberale), I fondamenti dell’economia corporativa, Capitalismo e corporativismo. La riproduzione è integrale e senza alcuna modificazione, neppure di carattere del tutto formale. Si è voluto così offrire al lettore un documento che conservasse il significato originario, anche se sono trascorsi circa quaranta anni dal tempo in cui esso fu concepito ed esposto. Il documento non è accompagnato da alcuno scritto posteriore e tanto meno da un qualsiasi giudizio formulato al momento della ristampa. Il lettore non deve essere condizionato dal confronto tra il passato ed il presente: se lo crederà opportuno, potrà seguire l’opera ulteriore dell’autore nei libri e nelle riviste che vanno fino al giorno di ogg
Gianpasquale Santomassimo – La terza via fascista. Il mito del corporativismo
Louis Franck – Il corporativismo e l’economia dell’Italia fascista
Fino al febbraio del 1934 lo Stato corporativo fascista fu paradossalmente uno Stato senza corporazioni, perché solo allora queste furono create, e in forma del tutto subordinata all’amministrazione statale e al potere politico della dittatura. Nonostante le tesi di certo fascismo «di sinistra» – si pensi a Ugo Spirito – le corporazioni non furono mai altro che nuovi organismi burocratici aggiunti agli altri, ligi strumenti di una politica economica che copriva le sue scelte con la demagogia. L’interesse che, in un mondo scosso dalla crisi, destò il corporativismo fascista durò perlopiù solo il tempo di accorgersi del carattere di espediente politico della «nuova esperienza economica» italiana, e anche così può sembrare oggi spropositato. In effetti, bastarono pochi anni per passare dall’interesse per gli aspetti dottrinali e pratici del corporativismo alla preoccupazione ben più impellente per il potenziale reale o presunto dell’economia dell’Italia fascista.
Questo percorso è esemplarmente illustrato dai numerosi e approfonditi studi che dal 1934 al 1939 dedicò alla realtà economica e sociale italiana Louis Franck. Per lui il corporativismo fu dal 1930 al 1934 una serie di reazioni difensive alla crisi economica, poi lo strumento di una volontà di potenza che si traduceva nell’autarchia e nell’economia di guerra. La diagnosi, che attribuisce fra l’altro grande importanza allo sviluppo di una nuova classe media di funzionari variamente legata al regime, ritrova l’ispirazione dei grandi esponenti dell’emigrazione antifascista – da Gaetano Salvemini a Carlo Rosselli ad Angelo Tasca – i quali, come ricorda l’autore in una esauriente testimonianza inedita, lo guidarono nei primi passi della sua ricerca
Ernesto Rossi – Padroni del vapore e fascismo
I rapporti fra potere economico e potere politico nell’avvento e nel consolidamento del fascismo; il processo attraverso cui i «padroni del vapore» — cioè i più potenti rappresentanti dell’oligarchia industriale e finanziaria italiana — delegarono a un sistema politico totalitario il compito di difendere e promuovere i propri interessi di classe; le gravissime deformazioni impresse all’organismo economico nazionale dalla ventennale alleanza fra classe politica fascista e Confindustria: questi — che la storiografia più recente ha riconosciuto come i problemi centrali della storia d’Italia fra le due guerre — sono i temi dominanti del volume di Ernesto Rossi, che, dopo cinque edizioni, viene ora ripresentato in forma ampiamente riveduta e aggiornata.
Dagli scandali bancari all’istituzione di un rigoroso regime protezionistico all’ombra della mitologia autarchica; dall’imposizione di bassi salari alla politica fiscale e creditizia favorevole agli alti redditi, alla costituzione dell’IRI, l’esposizione del Rossi individua tutte le fondamentali scelte economiche del regime; scopre le costellazioni di interessi che esse erano chiamate a favorire; indica gli speciali meccanismi — politici, burocratici, giuridici — destinati a realizzarle, e che vennero progressivamente e stabilmente alterando le strutture dello stato e quelle del mercato nazionale; analizza minutamente la nuova classe dirigente modellata da quelle scelte, chiamata a gestirle e poi sopravvissuta, oltre il crollo del fascismo, a rendere più difficile, con le sue abitudini di malcostume e di incompetenza, la rinascita democratica
Pietro Grifone – Il Capitale finanziario in Italia
Pietro Grifone scrisse questo libro nel 1940, per i confinati politici di Ventotene. Aveva lavorato nell’ufficio studi della confindustria nel periodo fascista, e dominava perfettamente tutti gli aspetti tecnici della materia.
Il libro descrive l’ascesa, e poi la crisi, del capitale finanziario, concepito come struttura di fondo dell’economia italiana e come elemento di coesione della classe borghese. Ma è anche, consapevolmente, una storia, breve ma ricchissima di dati, dell’economia fascista. Malgrado il tempo trascorso, osserva Vittorio Foa nella sua introduzione, l’opera non è invecchiata (la rende attuale l’intreccio che le è proprio fra impegno storiografico e azione politica) e anzi, con l’accendersi dell’interesse storiografico sul periodo tra le due guerre, mantiene una insostituibile utilità come punto di riferimento e stimolo alla riflessione.
Daniel Guérin – Fascismo e gran capitale
In questo libro, si è tentato di definire la natura del fascismo, perseguendo tale obbiettivo attraverso lo studio del fenomeno là dove esso si è manifestato in maniera assolutamente caratterizzata e dove riveste, per così dire, la sua forma più classica: in Italia e in Germania.
Questo libro non è una storia del fascismo in quei due paesi; non è nemmeno un ‘analisi comparata tra i due fenomeni, ovvero un bilancio dei loro caratteri comuni e di quelli specifici. Volutamente, le differenze sono state trascurate nel tentativo di individuare, al di là delle contingenze proprie a ciascuno dei due paesi, un certo numero di elementi generali, ossia – se in politica è lecito esprimersi in termini scientifici – un certo numero di leggi
Domenico Preti – Economia e istituzioni nello stato fascista
La convinzione profonda che i tratti negativi impressi al nostro paese dal fascismo abbiano giocato un ruolo di primissimo piano nel corso successivo della storia nazionale, e l’esigenza di ricercare sul piano dell’analisi storica gli elementi originali, le specificità che il modo di produzione capitalistico assunse in Italia durante il ventennio fascista, costituiscono la cornice entro cui si collocano gli studi raccolti in questo volume. Con essi l’autore ha tentato un approccio metodologico che, se ha mirato ad allargare il più possibile il campo dell’osservazione, ha anche inteso ribadire nettamente il carattere repressivo ed antioperaio della dittatura mussoliniana. Il quadro che emerge è senza dubbio un quadro fosco; appare in drammatica evidenza che lo Stato fascista è incapace di controllare e di resistere alle spinte corporative che salgono prepotentemente dai più diversi settori economici e sociali del paese. Questo fatto porta non solo ad un sistema iniquo e sperequato che tende ad annullare la coscienza di classe nelle contrapposizioni tra categorie protette e non protette dallo Stato, ma anche ad un assetto statuale in cui importanti settori dell’amministrazione pubblica sfuggiranno ad ogni richiamo e controllo da parte del potere centrale. È l’avvio di un processo degenerativo nel quale uno Stato autoritario finirà per mostrarsi con gli anni sempre più privo di autorità