Ugo Fabietti – Materia sacra. Corpi, oggetti, immagini, feticci nella pratica religiosa


Perché gli achei “credevano” allo scettro divino di Agamennone? Perché l’ostia consacrata era un simbolo di contestazione usato dagli inca nei confronti degli spagnoli? Il feticismo è una religione primitiva o è un esempio del fascino esercitato su tutti noi dalla materia informe? Le immagini sacre sono solo riproduzioni di figure divine oppure sono quelle stesse figure? Che relazione c’è tra il cibo e la religione? E come mai una macchia sul muro può diventare oggetto di culto per quanti vi vedono la Madonna? Sono alcune delle domande a cui questo libro risponde assumendo un punto di vista insolito e originale: quello della materialità della religione. Usualmente si pensa alle religioni come a complessi di credenze, di riti, di dogmi, e non ci si interroga abbastanza sul significato che in esse rivestono le “cose” oggetti, corpi, immagini, sostanze – prodotte da mano umana o frutto dell’azione divina. È proprio attraverso cose estremamente materiali come le pietre, i feticci, le immaginette e le statue delle divinità che le religioni prendono forma e trovano una direzione, a seconda dei modelli culturali prevalenti presso un gruppo, una comunità, una società. Così le religioni trovano un modo per imporsi come universi simbolici capaci di produrre rappresentazioni che servano da guida nella relazione dei soggetti con il mondo.

Spencer Wells – Il lungo viaggio dell’uomo. L’odissea della specie

Il libro ripercorre la storia di una moderna indagine scientifica, ovvero di come le nuove ricerche sul genoma umano – insieme a quelle in altri campi come l’archeologia, l’antropologia, la linguistica e la paleoclimatologia – stiano svelando con una precisione crescente le origini della nostra specie, le sue migrazioni e il modo in cui è avvenuta la colonizzazione dei continenti. L’autore, che ha viaggiato dalla Siberia alla Namibia per raccogliere i campioni di sangue necessari alle ricerche, affronta questioni tecniche sofisticate e scoperte originali, ma non manca di esporre i concetti fondamentali della genetica indispensabili al lettore comune per seguire il filo delle ricerche.

Telmo Pievani – Homo sapiens e altre catastrofi: Per un’archeologia della globalizzazione

Homo sapiens e altre catastrofi: Per un’archeologia della globalizzazione di [Pievani, Telmo]

Questo è il romanzo avventuroso dell’evoluzione umana. Una storia che nessuno scrittore avrebbe immaginato così sorprendente. Le ultime scoperte scientifiche hanno infatti rivoluzionato le nostre idee sulla storia naturale di Homo sapiens. Facendo dialogare biologia evoluzionistica, paleoantropologia, genetica ed ecologia in una sorta di avvincente biografia familiare, Telmo Pievani va alla scoperta della molteplicità delle specie umane vissute negli ultimi sei milioni di anni e della complessità del popolamento sulla Terra, nella convinzione che non si possa comprendere a pieno il significato dei processi di globalizzazione contemporanei senza una loro collocazione nel tempo profondo della planetarizzazione della nostra specie. Per capire da dove veniamo e, forse, dove andiamo, in un libro in cui scienza e scrittura letteraria si mescolano fin dalla prima pagina.

Enrico Chelazzi – L’inquietudine migratoria. Le radici profonde della mobilità umana

Inquietudine migratoria: Le radici profonde della mobilità umana (Città della scienza) di [Chelazzi, Guido]Un lungo viaggio dal Pleistocene alle soglie della modernità rivela che la mobilità è sempre stata elemento fondamentale e necessario del processo di autocostruzione bioculturale di Homo sapiens. Lo studio delle antiche migrazioni umane fra preistoria e storia, condotto con gli strumenti della paleoclimatologia, dell’antropologia, dell’archeologia e della genetica, mostra l’intreccio di fattori ambientali e culturali che hanno spinto l’umanità a muoversi fin dalle sue origini e offre una prospettiva diversa e più oggettiva per comprendere anche le drammatiche espressioni della migrazione contemporanea.

Silvana Condemi, François Savatier – Mio caro Neanderthal. Trecentomila anni di storia dei nostri fratelli

I veri europei, gli autoctoni del nostro continente, sono i neandertaliani. Sono loro che si sono adattati al clima rigido della penisola europea durante le glaciazioni e che sono fioriti nel relativo tepore dei periodi interglaciali. I Sapiens – africani e tropicali – hanno a lungo evitato le nostre terre inospitali, dove sono approdati molto tardi. Eppure, Neandertal (Homo neanderthalensis) ha la fama del bruto; qualcuno ancora crede che fosse un «uomo delle caverne», un antenato ottuso e animalesco dal quale ci saremmo in seguito evoluti noi, raffinati e longilinei. Niente di più sbagliato. La paleoantropologa Silvana Condemi e il giornalista scientifico François Savatier hanno scritto questo libro proprio per raccontarci in modo chiaro e semplice la sua storia. Com’era fatto dunque l’uomo di Neandertal? Che aspetto aveva? Come viveva? A queste domande, grazie al gran numero di fossili rinvenuti in un secolo e mezzo di scavi e grazie alle nuove tecniche di studio, oggi sappiamo dare risposte più precise. Sappiamo che i primi Neandertal vivevano già in Europa 300.000 anni fa, discendenti da una specie umana africana a sua volta antenata di Homo sapiens. Noi Sapiens moderni e i neandertaliani siamo dunque fratelli. Neandertal parlava, di certo mangiava molta carne, cacciava, viveva in clan dispersi su un enorme territorio tra Europa, Asia settentrionale e Medio Oriente. Era cannibale ma seppelliva i morti, almeno nel periodo tardivo; si prendeva cura degli infermi, fabbricava grandi quantità di strumenti litici, si vestiva e aveva un pensiero simbolico. Gli studi di genetica confermano che nel DNA degli europei di oggi c’è ancora tra l’1 e il 4% di DNA neandertaliano. Dunque, ci siamo incrociati. In altre parole, noi europei siamo, almeno in parte, i diretti discendenti di Neandertal. La repentina scomparsa dei neandertaliani, circa 35.000 anni fa, non è pertanto imputabile a un massacro. Più probabilmente è stata una fusione tra due popolazioni umane. Mio caro Neandertal, bentornato in famiglia.

Piero Camporesi – Il pane selvaggio

Il pane selvaggio

Nell’Europa fra Quattro e Settecento, larga parte della società era non solo schiacciata dal peso degli status piramidali, immodificabili per legge divina e volontà regale, ma anche oltraggiata dalla fame e dalla miseria, tiranneggiata dall’uso quotidiano di pani ignobili, spesso mischiati volontariamente con erbe e granaglie tossiche e stupefacenti. Mentre i Galilei, i Cartesio e i Bacone fabbricavano una macchina del mondo razionale e ordinata, la sottoalimentazione cronica e l’ubriachezza domestica generata da queste droghe campestri e familiari lanciavano il corpo sociale in un viaggio onirico di massa, in trance ed esplosioni dionisiache che coinvolgevano interi villaggi, nei meandri di un immaginario collettivo demonico e notturno che compensava un’esistenza invivibile, alle soglie dell’animalità. Nel Pane selvaggio Piero Camporesi, ricorrendo a un’ampia campitura di fonti letterarie d’età moderna, racconta un’umanità narcotizzata, preda di una colossale vertigine oppioide, che viveva in un mondo di squallida apatia intellettuale e morale e di disinteresse per le cause più alte, sprofondata in un universo fantastico. Un’umanità, tuttavia, che ancora conosceva la percezione extrasensoriale della realtà, forme di coscienza e di scienza diverse da quelle, a una sola dimensione, della razionalità, e che dunque ancora poteva attingere ai serbatoi onirici che l’interdizione delle erbe allucinogene ha poi distrutto. Piero Camporesi – che per statura può essere avvicinato a Jacques Le Goff, e che come questi si è adoperato per restituire il ritratto storico e sociale dell’Europa preindustriale attraverso i sensi degli uomini che vi avevano materialmente vissuto – è stato un maestro, con la sua ricerca, per generazioni di studiosi, e con la sua prosa ricca eppure nitida impersona una delle massime vette raggiunte dalla scrittura italiana secondo-novecentesca.

Christoph Wulf – Antropologia dell’uomo globale

Antropologia dell’uomo globale

Apertura: ecco la decisiva parola-chiave per comprendere oggi l’uomo globale. Il cambiamento che ha investito l’oggetto della vecchia antropologia normativa sta trascinando con sé gli steccati disciplinari, destabilizzando i metodi consolidati, pluralizzando i paradigmi, ridefinendo gli ambiti tematici. Lo statuto del sapere antropologico esce sostanzialmente riconfigurato da ricerche che ormai si caratterizzano come transdisciplinari, multiparadigmatiche e transnazionali. È a Christoph Wulf che si devono le riflessioni più conseguenti e lungimiranti sui recentissimi assetti dell’antropologia storico-culturale, così mutati da determinare la sua necessaria fuoriuscita dagli alvei canonici e da spingerla verso altre centralità. Il corpo umano, innanzi tutto, luogo di produzione, trasmissione e trasformazione della cultura attraverso rituali, atti linguistici, processi mimetici e performativi. E con il corpo, la temporalità e la finitezza, la nascita e la morte. In un saggio che convoglia la ricchissima ricognizione del passato verso l’autocomprensione del presente, l’unico presupposto irrinunciabile è la consapevolezza che non esiste un unico, riduttivo concetto di uomo. A questo riguardo, il gioco delle analogie e delle differenze costituisce un fondamentale correttivo nei confronti di una globalizzazione uniformatrice.

Edward W. Said – Nel segno dell’esilio. Riflessioni, letture e altri saggi

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A diversi anni dalla morte, il carisma di Edward Said non accenna a diminuire. Critico letterario, musicista, militante palestinese, Said sfugge a ogni tentativo di classificazione: un intellettuale la cui influenza è ben lontana dall’essere confinata al mondo accademico. Nel segno dell’esilio rispecchia questa sua versatilità. È una raccolta di quarantasei saggi, scelti da Said stesso e scritti tra il 1970 e il 2000, su una sorprendente varietà di argomenti: la diaspora palestinese, i ricordi di gioventù al Cairo e Alessandria (con un saggio straordinario dedicato a una famosa danzatrice del ventre), il confronto tra culture, ma anche il machismo di Hemingway e l’epica di Tarzan. E ancora: George Orwell, Giambattista Vico, Naguib Mahfouz, Joseph Conrad, Antonio Gramsci, E. M. Cioran, T. E. Lawrence, W. S. Naipaul, Eric Hobsbawm, in ritratti che confermano Said come uno dei più importanti ed eleganti critici letterari del nostro tempo. Su tutti, il saggio che dà anche il titolo al libro: una riflessione profonda e intensa sull’esilio, il luogo impossibile attorno a cui ruotano la biografia e l’intero percorso intellettuale di Said, esilio che è anche il filo rosso che attraversa tutta questa raccolta di scritti, nella cui ricchezza e magnificenza l’elemento biografico e quello generale, il personale e il politico sembrano ricomporsi.

Edward W. Said – Musica ai limiti. Saggi e articoli

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Questi saggi coprono un arco di circa vent’anni, durante i quali Said è stato critico musicale di importanti riviste e quotidiani statunitensi. Ma l’idea di “critica” che sta dietro alla scrittura di Said è quella della “teoria critica” di uno dei suoi grandi ispiratori, Theodor W. Adorno. Fare critica musicale significa, per Said, compiere un esercizio poliedrico, che incontra la musica “ai limiti” della musica, situandola al crocevia di progetti filosofici e letterari, fenomeni sociali e drammi storici. Ai confini di una certa opera musicale, di un certo evento concertistico, di una certa poetica compositiva, Said fa riemergere un progetto estetico, e ai confini del progetto estetico una politica della musica, una politica dell’arte. Per chi si scrive musica? Per chi la si esegue? Che visione del mondo si nasconde dietro il contrappunto bachiano, la forma sonata beethoveniana, l’improvviso schubertiano? Interpretare significa installarsi fedelmente nel passato dell’opera, o installare l’opera nell’urgenza del nostro presente? Said rilegge attraverso il prisma di queste domande grandi opere musicali (Erwartuung di Schoenberg, l’amatissimo Richard Strauss, la Tetralogia di Wagner), progetti e istituzioni che hanno fatto la storia della musica (il Festival di Bayreuth, il Metropolitan Opera di New York), figure di interpreti leggendari come Arturo Toscanini e Glenn Gould. Prefazione di Daniel Barenboim.